Ah, se Campisi imparasse da Sergio Monaco !!!

“Navigare a vista, senza una maggioranza politica che condivida un progetto, può solo arrecare danno alla nostra città.

La coerenza politica impone di prendere atto della nuova situazione. Coerentemente con quanto affermai al momento delle elezioni, confermo oggi che non intendo inseguire i consiglieri comunali alla ricerca di una maggioranza e, pertanto, preferisco dimettermi ed affidare a nuove elezioni il futuro di Carlentini.”

Non si può che provare un sentimento di ammirazione per la coerenza di un uomo politico e per il coraggio nel sapere abbandonare quando si capisce di non potere più andare avanti.
L’esperienza degli ultimi anni, in tanti comuni, ci ha detto che quando un sindaco perde la sua maggioranza non riesce più a governare e prima si torna alle elezioni e meglio è.

Sergio Monaco, sindaco di Carlentini, è l’esempio e modello di come dovrebbe comportarsi qualunque altro amministratore si possa, malauguratamente, trovare nelle medesime condizioni.

Egli costituisce, per noi pachinesi, per la stragrande maggioranza dei pachinesi, anche motivo d’invidia.
Ebbene si, bisogna ammetterlo. Proviamo invidia nei confronti dei carlentinesi perché tra loro militano e fanno politica uomini veri e degni di interpretare la rappresentanza dei propri concittadini.

La sua prima frase, riportata sopra, è la reale condizione in cui si trova oggi il comune di Pachino.
Si naviga a vista, senza maggioranza e senza lo straccio di un progetto politico. Si sta realmente arrecando un danno al paese.
E allora, con un atto di intelligente umiltà, il sindaco Campisi, prenda esempio da Sergio Monaco e faccia ritornare i pachinesi alle urne. Al paese non serve che lui mantenga questo stato di immobilità. Con i suoi nuovi compagni non è riuscito, ad oggi, a organizzare un bel niente. Vivacchiano alla giornata e passano il tempo a scrivere ridicoli fogliettini. Di ben altri uomini ha bisogno la nostra città.

Sergio Monaco ha deciso di tornare ad occuparsi del suo lavoro, forse anche di ripresentarsi alle prossime consultazioni, ma con l’animo sereno di chi ha la coscienza a posto.

Campisi lo imiti, torni a fare il suo precedente lavoro e, se vuole e ha coraggio, si ripresenti ai pachinesi che lo potranno benissimo rimettere su quella sedia che non vuole proprio lasciare.

Altrimenti, come temiamo, dovremo continuare a invidiare Carlentini.

Pachino, 02/08/2007

f.to Turi Borgh
Pubblicata da: Turi Borgh il 02-08-2007 13:43 in Comunicati

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Le notizie riportate dai quotidiani locali: l’espulsione del sindaco Campisi dall’aula consiliare e le “Accuse e i veleni…” susseguenti, impongono a ogni buon pachinese che ama realmente la sua terra, un momento di riflessione attenta e oggettiva.

Siamo in presenza di accadimenti unici nella storia della politica non solo locale: chi ricorda di un sindaco espulso e allontanato coattivamente dall’aula consiliare?

È scontro istituzionale?

Una lettura politica decontestualizzata porterebbe certamente alla più che logica conclusione che trattasi dello scontro tra due istituzioni forti: la presidenza del C.C. e il sindaco del comune.

Ahimè! gli accadimenti vanno letti e interpretati in ben altra dimensione. Non è politica ma “teatrino delle mediocrità”. Ci vien voglia, infatti, di parafrasare un detto di John Stuart Mill, secondo il quale “la cruda verità è questa: ............................; la tendenza generale in tutta [Pachino] è quella di assegnare il predominio alla mediocrità”.

Lo sostengono d’altronde lor signori, cioè i politici locali. Non passa giorno, infatti, che questa mediocrità non venga puntualmente riconosciuta e riportata come connotato fondamentale e peculiare della parte politica avversa.

In buona sostanza: gli incapaci, i corrotti, gli insipienti, gli illegittimi, i ladri, stanno sempre nell’”orto del vicino”. Il proprio “personale e politico” brilla invece di “genio”, di “superiorità morale, intellettuale e politica”, di “capacità amministrativa”, di “interesse pubblico e bene comune”, di “eticità”.

Latita, a ben vedere (ma da ben tre lustri), il dibattito attorno ai problemi reali del paese. Assistiamo per converso (è sempre da tre lustri) a un a sciagurata riduzione della lotta politica a scontro personale per mero carrierismo.

Non possiamo comunque comprendere l’oggi, se non rivisitando il passato, sia pure prossimo. V’è un periodo della nostra recente storia politico-amministrativa che gode del carattere di omogeneità ed è in grado di spiegarci razionalmente l’oggi.

Un oggi che sfugge a qualsiasi analisi politologica, e che invece va interpretata (come cercherò di dimostrare con i fatti) nella più che corretta dimensione della patologia di sistema.

Gli anni 1993-98 furono gli anni dello scontro tra il sindaco di allora M. Preziosi e il Consiglio Comunale, la cui maggioranza fu a lui avversa. Cosa resta nella memoria di quegli anni?: il referendum consultivo per la rimozione del sindaco (primo firmatario il Gruppo Consiliare di Rinascita, di cui era componente l’attuale presidente del C.C.), lo scontro istituzionale tra il sindaco e l’allora Segretario Generale del Comune con il suo epilogo tragico, lo scontro istituzionale tra il sindaco e il Presidente del C.C. che accuse reciprocamente infamanti, in ultimo il giudizio che di quegli anni diede lo stesso Preziosi: “…una tragedia…”.
Carmelo Latino (vice-sindaco Mauro Adamo leader di Rinascita), dovette subito fare i conti con la crisi (corsi e ricorsi?) all’Ufficio Tecnico Comunale.

Rimosse l’assessore Paolo Bonaiuto, e concluse la sua sindacatura, ad appena un anno dalla sua elezione, con una nuova richiesta di rimozione e le immediate dimissioni. Degli anni successivi, 1999-2001, preferiamo non parlare. È troppo vivo il ricordo del dramma con cui si concluse, per poterci permettere una disamina politica, che viceversa va interamente affidata alla sua sede più naturale, che è quella storiografica, ma che richiede tempi di opportuna sedimentazione.

A ben vedere il periodo che sembra aver garantito la massima stabilità fu la sindacatura Barone. Proposto sempre da Rinascita che, dal dopo Adamo, non riesce a trovare un leader carismatico in grado di guidare oltre il movimento anche il paese, Barone durò ben cinque anni. Cosa resta di quegli anni? Se qualcuna sa, ci ricordi una sola opera pubblica iniziata o portata a compimento. Nell’immaginario collettivo, è vivo il ricordo dei deliri paranoici con cui ogni singolo consigliere reclamava a “sé” una rappresentanza assessoriale (ben 51 cambi assessoriali).

Ma noi preferiamo, più che le interpretazioni far parlare i fatti. Così scrivevano il Movimento Rinascita di Pachino: “…La città chiede di poter riavere la parola e che venga messo fine allo sfascio politico ed amministrativo imperante……” (cfr sito web di Rinascita) e lo stesso presidente del C. C. Salvatore Blundo: “…Mai nella storia politica e amministrativa cittadina si era arrivati così in basso……in questi primi quattro anni di mandato non ha prodotto nulla se non ulteriori guasti cha alla fine peseranno sulle tasche dei pachinesi costretti ad assistere impotenti alla elargizione di incarichi esterni ben remunerati e a un continuo sperpero di denaro pubblico” (cfr. Giornale di Sicilia del 20 gennaio 2005, pag. 30).

Come ben si sa, Barone cade con mozione di sfiducia proposta dal gruppo consiliare del Movimento Rinascita di Pachino e votata da ben 14 consiglieri su 20 il 18 novembre 2005. Segue una lunga fase di commissariamento. Il resto è l’oggi, la crisi, ad appena un anno, della sindacatura di Peppe Campisi. Iniziata formalmente con l’ennesima fuoruscita dalla maggioranza del Gruppo Consiliare di Rinascita, proseguita con la mozione di sfiducia bocciata dal C.C., si alimenta di “accuse e veleni”, sui quali val la pena di esercitare un minimo di riflessione.

Una riflessione che è principalmente di natura etico-politica, che però richiede una chiarificazione preliminare sul concetto di etica. La nostra visione dell’etica rifugge dal delirio paranoico dell’erotomania e della mistica-riformista, tipico di sette e movimenti politico-religiosi, che si autoalimenta della “presunzione” di voler dettare norme generali comportamentali e di condotta, per meglio costruire improbabili e impossibili Città etiche.

La nostra è semplicemente un’etica della riflessione, che si alimenta del confronto dialettico e del tentativo di chiarificazione, ma che in ultima istanza riconosce all’individuo, divenuto persona nel riconoscimento del valore dell’alterità, la piena autonomia di giudizio e di condotta (qualcuno farebbe bene a leggersi interamente il saggio di John Stuart Mill LA LIBERTÀ).
In questo contesto di pieno rispetto della doxa altrui, sentiamo di dover avanzare una nota chiarificatrice sul concetto di “conflitto di interessi”, che sembra essere alla base del disastro politico di questi quindici anni.

Non basta, infatti, evidenziare che il conflitto è risolto nel momento in cui, essendo in gioco interessi di soggetti direttamente legati ad amministratori (sindaco, assessori, consiglieri, funzionari), questi si astengono dai relativi atti. L’eticità dei comportamenti non è casualmente dipendente dalla legittimità dell’atto né dall’esclusione di motivi di rilevanza penale, cosicché la semplice legittimità ne sancirebbe l’eticità.
Noi tutti sappiamo che in realtà non è così, che esistono nel campo politico condotte e comportamenti che, pur legittimi, sono tuttavia censurabili (in primis dalla propria coscienza) in quanto ad eticità.

Traiamo degli esempi proprio dal dibattito in corso. Perché l’affidamento di un incarico professionale a un mio diretto congiunto, l’affidamento di un appalto a ditta direttamente a me collegata, e via di seguito, la nomina a dirigente di tecnostruttura ad un mio diretto congiunto, la nomina in un Ente di un compagno di cordata, non siano censurabili sul piano etico, necessitano di precisi requisiti. Nel caso in specie: che la mia attività politica sia nei fatti orientata all’interesse pubblico, che la mia condotta politica (e i miei voti in C.C.) non interferiscano con le decisioni di altri amministratori, che non si leda il diritto di altri soggetti legittimati al pieno dispiegamento della propria personalità (altri professionisti, altre imprese, altri funzionari), che si scelgano rappresentanti in base alle loro professionalità (e non ad esempio un perito agrario amico al Consiglio di Filosofia e un professore di filosofia ai rifiuti solidi urbani.).

Riassumendo queste condizioni in una, si può affermare che l’eticità di un comportamento nel campo politico-amministrativo è assicurata tutte le volte che l’esercizio concreto della discrezionalità nelle scelte della P.A. è esercitato nel pieno rispetto dei criteri di oggettività e imparzialità, del diritto di tutti i soggetti a medesime condizioni di partenza sì da non ledere l’inalienabile libertà alla crescita professionale, cui consegue una crescita anche collettiva e sociale.
Ora, proprio rileggendo le scelte amministrative di questi tre lustri, anche dall’ottica delle lotte intestine che ne sono scaturite, è evidente che proprio questo requisito è venuto a mancare. I contenuti delle reciproche accuse sono principalmente l’incapacità a governare la cosa pubblica e il prevalere di interessi personali e di gruppo al posto di quelli collettivi: nomine in importanti posti dirigenziali dei propri amici funzionari, affidamento di incarichi professionali a professionisti amici, parenti e congiunti, (sempre gli stessi), lesione della legittima aspirazione dei tanti altri a partecipare alla gestione della cosa pubblica, presunti o veri abusi del proprio potere interno di amministratore per procurarsi privilegi che ad altri comuni cittadini non consentiti, nomine di rappresentanti in Enti e Società in dispregio ai requisiti di professionalità, presunti collegamenti con ditte e imprese per la realizzazione di onerosi progetti, contributi a società e gruppi di volontariato facenti parte del proprio elettorato, e chi più ne ha più ne metta.

Dunque un quadro politico-amministrativo a tinte fosche (semplice eufemismo), quale emerge dalle stesse posizioni degli attori di ieri e di oggi: i politici che hanno governato (si fa per dire) questi tre lustri. La spiegazione che circola, come al solito sotto gli alberi di Piazza V. Emanuele, intende avvalorare l’ipotesi che la crisi quindicinale di questo paese sia dovuta alle caratteristiche personologiche inadeguate dei sindaci che si sono succeduti in questi anni. Da ciò la necessità di mandarli tutti a casa ad appena un anno dalla loro elezione.
La spiegazione non regge perché è contraddetta dai fatti.

Siamo in presenza di una crisi di sistema, in particolare dei suoi meccanismi di selezione delle rappresentanze politiche e della sua classe dirigente, che è diretta figlia della crisi del sistema politico imperniato sui partiti politici, come veicolo non solo di consenso ma anche di appartenenza e di formazione.

Una crisi quella del sistema politico-sociale pachinese, che ha prodotto da ben tre lustri, una classe politica isterica e paranoica, autoreferenziale e tutta protesa all’affermazione di sé.

Una classe politica, senza alcun apprendistato alla fucina di formazione che furono i partiti politici della prima repubblica, perennemente alla ricerca di problematici equilibri e di un precario adattamento. Perennemente i crisi, per via dei suoi stessi vincoli epistemici, che sono rigidi, idiosincratici e ripetitivi, questa classe politica non sa gestire i conflitti che inevitabilmente l’attività politica attiva.

Sempre alla ricerca inconscia di meccanismi di autodifesa, principalmente di auto-inganno (io sono bravo e preparato), di proiezione (non io, gli altri sono ladri, insipienti, corrotti, incapaci), di personalizzazione (non la pensa come me è contro di me), ha portato il sistema al collasso, cristallizzandolo in pattern relazionali e comunicativi patologici e disfunzionali, all’interno di una ricorsività patologica che tende ad autoalimentarsi e impedisce in tal guisa al sistema di evolvere positivamente.
Si vogliono degli esempi di questa involuzione?

Pachino è, a nostro modesto parere, congiuntamente al turismo netino, il polo economico della zona sud della provincia. Quanti camion settimanalmente partono dai luoghi di produzioni per i mercati nazionali ed internazionali (700, 800 ?). Bene Pachino è l’unico dei quattro paesi della zona sud ad essere rimasto sprovvisto dello svincolo autostradale. È questione di vecchio campanilismo? No è questione infrastrutturale, necessaria e indispensabile allo sviluppo economico della zona.

Ancora un altro esempio. Che fine ha fatto il turismo? La dinamicità della società civile pachinese andava coordinata da una attività di programmazione dello sviluppo turistico, capace di inserire Pachino nel circuito turistico netino. Ma davvero dobbiamo rassegnarci a perdere siti di straordinaria bellezza culturale ed archeologica, quali sono la Necropoli di contrada Cugni, la Grotta di Calafarina, la Grotta Corruggi, l’Acquedotto greco-romano, la stessa Borgata di Marzamemi?

Bene allora ha fatto Turi Borgh (ricordiamolo già assessore di Peppe Campisi) a chiedere al sindaco un atto di responsabilità, sull’esempio del dimissionario sindaco di Carlentini Monaco. Ma l’invito che ci sentiamo di rivolgere a Turi Borgh è di estendere la richiesta di dimissioni a tutta la classe politica attuale, responsabile dello sfascio politico, amministrativo, sociale e civile cui ha condotto Pachino.

Magari lo faccia in modo simpatico e allegro e non con il solito incomprensibile politichese. Gli suggeriamo di rivolgersi ai suoi colleghi politici, magari parafrasando la ben nota poesia del noto e non dimenticato Nuzzo Neri: “tutti a zappare”. Ovviamente conservando la consapevolezza dell’importanza di questo importante lavoro che richiede oggi più di ieri, personalità, capacità di sacrificio, abnegazione e competenza, qualità queste sconosciute ai politici nostrani.

Con la concreta speranza che questo mio scritto (purtroppo doverosamente lungo) possa innescare una circolarità virtuosa, tornando privilegiare i contenuti sulla demonizzazione dell’avversario, i temi dello sviluppo piuttosto che le beghe personali
invio
cordiali Saluti
Dott. Nello Lupo
"Pachino è, a nostro modesto parere, congiuntamente al turismo netino, il polo economico della zona sud della provincia. Quanti camion settimanalmente partono dai luoghi di produzioni per i mercati nazionali ed internazionali (700, 800 ?). Bene Pachino è l’unico dei quattro paesi della zona sud ad essere rimasto sprovvisto dello svincolo autostradale. È questione di vecchio campanilismo? No è questione infrastrutturale, necessaria e indispensabile allo sviluppo economico della zona.

Ancora un altro esempio. Che fine ha fatto il turismo? La dinamicità della società civile pachinese andava coordinata da una attività di programmazione dello sviluppo turistico, capace di inserire Pachino nel circuito turistico netino. Ma davvero dobbiamo rassegnarci a perdere siti di straordinaria bellezza culturale ed archeologica, quali sono la Necropoli di contrada Cugni, la Grotta di Calafarina, la Grotta Corruggi, l’Acquedotto greco-romano, la stessa Borgata di Marzamemi?"

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Con questi due accenni il dott. Lupo ha centrato perfettamente il problema di carenza di programmazione economica e di sviluppo che soffriamo come territorio e sono piacevolmente sorpreso nel leggere, finalmente, che anche altri si accorgono che, per approntare un minimo di politica del turismo, dobbiamo coordinarci con il comune di Noto, e non solo con esso. Anche con Rosolini e Portopalo dovremmo essere in grado di realizzare un sistema integrato di sinergie comunali, per pilotare al meglio le opportunità di sviluppo di un turismo ancora allo stato embrionale.
Quello che in ogni caso a Pachino manca, non solamente sul versante dello sviluppo economico, è una progettualità di fondo che guidi e indirizzi la politica e l'amministrazione. Per questo colgo favorevolmente l'invito a concentrarci sui contenuti piuttosto che sulle sfide, spesso, solo personali.

Poi Lupo dice:
"Bene allora ha fatto Turi Borgh (ricordiamolo già assessore di Peppe Campisi) a chiedere al sindaco un atto di responsabilità, sull’esempio del dimissionario sindaco di Carlentini Monaco. Ma l’invito che ci sentiamo di rivolgere a Turi Borgh è di estendere la richiesta di dimissioni a tutta la classe politica attuale, responsabile dello sfascio politico, amministrativo, sociale e civile cui ha condotto Pachino.
Magari lo faccia in modo simpatico e allegro e non con il solito incomprensibile politichese. Gli suggeriamo di rivolgersi ai suoi colleghi politici, magari parafrasando la ben nota poesia del noto e non dimenticato Nuzzo Neri: “tutti a zappare”. Ovviamente conservando la consapevolezza dell’importanza di questo importante lavoro che richiede oggi più di ieri, personalità, capacità di sacrificio, abnegazione e competenza, qualità queste sconosciute ai politici nostrani."

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E' vero sono stato assessore di Campisi e non rinnego quella scelta, anzi, con molta convinzione dico che la rifarei.
Purtroppo nessuno di noi, ma credo tutti, poteva prevedere ciò che sta succedendo oggi a Pachino. E non è tanto per demonizzare un avversario, tolto che io non vedo Campisi come avversario ma come un estraneo alla guida di una macchina che non sa dirigere. Quanto perchè, pur pensando, ognuno di noi, che la politica a Pachino stesse viaggiando verso una degenerazione sempre maggiore, non avremmo mai avuto la fantasia tale da immaginare l'epilogo odierno.
Detto questo per puro accenno alle parentesi allusive dell'intervento di Lupo (io non mi sono mai sottratto al confronto e alle critiche, tuttavia, pur avendo commesso alcuni sbagli, ritengo di potere anche formulare critiche e proposizioni), l'argomento richiederebbe molto più spazio e tempo e di ciò ci siamo già occupati in passato, mi piacerebbe evidenziare le ultime frasi delle sue attente considerazioni.
Io mi sono dimesso dall'incarico di assessore, per mia scelta e volontà, in piena condivisione con le scelte del mio partito e della coalizione. Volendo, credetemi, avrei potuto mantenere la carica di assessore, anche rompendo con il centrosinistra, se avessi avuto davanti solo il mio interesse personale.
Non lo dico tanto per fare il gradasso e autoesaltarmi ma, credo, a tutt'oggi, non si sono volute dare le corrette valutazioni sul gesto delle dimissioni che, non solo io, abbiamo posto in essere. Non ci interessava e non ci interessa mantenere una carica e la relativa indennità, sulla quale nessuno sputerebbe, se di contro non si possono realizzare le politiche e gli atti amministrativi utili a Pachino. Per dirla alla Nuzzo Neri, indimenticato compagno, non volevamo fare gli assessori "senza fari nenti e rattarini a panza".
Ecco perchè l'esempio di Monaco mi è sembrato tale da mostrarlo a Campisi, pur immaginando che costui non si sognerà neppure di imitarlo.
Quanto alle dimissioni dell'intera classe politica, io mi chiedo quanto sia realizzabile e cosa potrebbe generare. Personalmente mi sono già fatto da parte sia come amministratore, sia come dirigente politico, segretario della sezione dei DS di Pachino, per cui l'idea delle dimissioni non mi è estranea. Ma dico anche che la decisione ha senso solamente quando esistono altre persone in grado di sostituire chi si dimette, altrimenti quella decisione assume il sapore di chi abbandona la nave senza avere messo in salvo i passeggeri.
E' verissimo che a Pachino viviamo uno sfascio, in ordine d'importanza, sociale, politico ed economico. Credo che le difficoltà politiche derivino essenzialmente dalle grosse difficoltà sociali che attraversano la collettività pachinese. Qualche giorno addietro, commentando i fatti politici locali, un giovane mi raccontava il suo rammarico nel non essere riuscito ad essere stato eletto consigliere comunale. Pur avendo raccolto più di 60-70 voti, non aveva potuto far fruttare quel suo impegno. Ha detto proprio "fruttare", indice inequivocabile di ciò che voleva dire. Perchè oggi, nei nostri comuni, la politica è intesa solamente in quel modo e l'impegno sociale, in qualsiasi modo inteso, sbeffeggiato perchè non genera un ritorno economico immediato. Le dimissioni della classe politica, allora, cosa comporterebbero ?
E poi, di quale classe politica parliamo ? I consiglieri comunali sono per la metà nuovi eletti, alcuni di essi non avevano avuto alcuna esperienza politica, i partiti tradizionali, nel centrodestra quasi annullati, e nel centrosinistra in affanno con relative dirigenze in pieno ricambio. Un proliferare di liste civiche che la dice lunga sull'impegno politico di chi le promuove. Quello che io, dunque, chiedo al dott. Lupo, che so attento sociologo, è la spiegazione secondo la quale a Pachino si interpreta la politica in tal senso. Se per caso, senza tema di voler sembrare antiquato, non si dovessero sostenere e rinforzare i partiti, all'interno dei quali svolgere, correttamente e pienamente, le procedure democratiche di rinnovamento dei quadri. Non ho paura di essere scalzato se chi lo fa dimostra di essere più adeguato e più in gamba. Non sono, però, disposto ad abbandonare la posizione solo per un maldefinito principio.
Tutti a zappare, certo. Ho già scritto della salubrità di tale attività. Rinforza i muscoli, fa respirare aria pura, fa sudare e ci da tanto tempo per pensare mentre si fatica, ritrovandoci con noi stessi. Oserei dire che l'atto dello zappare è quasi un'approccio filosofico alla vita e all'incontro con noi stessi. E, facendo riferimento alla sua ultima affermazione, anch'io sono convinto che zappare "richiede oggi più di ieri, personalità, capacità di sacrificio, abnegazione e competenza, qualità queste sconosciute ai politici nostrani". Per cui, per fare una battuta, forse non è l'invito più pertinente da rivolgere a noi, cosiddetti, politici pachinesi. Rischieremmo pure una gran magra figura.
cordialmente, Turi Borgh (già ex-assessore di Peppe Campisi)
Nei tempi in cui mi occupavo d'informazione, mi trovai, per qualche minuto appena, a scambiare alcune battute con il prof. Modestino Preziosi. Da Sindaco nel pieno del suo travagliato mandato, sapendo dell'ambiente giovanile nel quale mi trovavo ad operare, mi disse che una delle sue maggiori preoccupazioni era quella di creare le condizioni affinchè potesse formarsi e crescere a Pachino una nuova classe dirigente.

Vedo che -almeno su questo- uno dei suoi più aspri avversari di allora, il dott. Nello Lupo, esprime oggi la sua accomunata preoccupazione, rimpiangendo i quadri dei partiti, con quelle loro "scuole" forse però più orientate alla configurazione di un bagaglio ideologico e di un linguaggio ad esso acconcio che a forgiare nuovi e preparati politici che, un giorno, potessero sostituirsi ai vecchi. Allora, infatti, i partiti erano tutto, ed attraverso i partiti passava ed arrivava quasi tutto.

Proprio gli anni di quella passeggiata con Preziosi erano però quelli in cui, dopo la bufera che spazzò via tutto (dal Muro alla nostra Prima Repubblica), si era aperto un vuoto angoscioso e drammatico: un vuoto multiforme di ideali, di credibilità stessa della politica, di personale politico ai più alti livelli, con ricadute "a domino" sul piano locale, caratterizzato da un turbinio di ricollocazioni, di passaggi e confluenze nei due poli che, allora, si venivano formando.

Se a sinistra, però, nonostante la caduta del comunismo e la susseguente voragine ideologica, la classe dirigente seppe mantenersi a galla, virando -in larga maggioranza- verso il c.d. "riformismo forte", l'area moderata che nella nuova sinistra non si riconosceva rimase -o quasi-senza corifei, fino al 1994, quando ebbe ad imporsi quell'esemplare di politico "post moderno" che risponde al nome di Silvio Berlusconi.

I quindici anni cui allude il prof. Lupo hanno inizio proprio in quel 1992-1993: e non è un caso che egli faccia partire tutto da lì, come dimostrano i suoi riferimenti all'unica realtà politica alla quale egli accenna più volte espressamente nel suo commento: Rinascita di Pachino.

Una realtà che lo ha sempre -come dire?-"intrigato", tanto da portarlo (come egli ebbe modo di dirmi più volte) ad abbozzare persino un libro sull'argomento, per la stesura del quale egli ebbe a chiedermi del materiale che -vedo- è confluito in parte anche nel suo commento. Ma non è certo per l'interesse di Lupo per Rinascita (o, meglio, per come lui vede Rinascita) che mi trovo qui a postare: ci sarà tempo e modo per parlarne se e quando egli (o chiunque altro) intenda affrontarlo senza far ricorso agli accenni.

E' che, nella sua parzialità (intesa non come visione "di parte", ma sguardo che coglie solo alcune parti della realtà, sin da suo focalizzarsi -e pure a singhiozzo- su una sola epoca storica), l'analisi di Nello Lupo non tocca alcuni aspetti che mi piacerebbe evidenziare. In primo luogo, e proprio sul piano storico, ci si dimentica cosa era il sistema istituzionale a Pachino prima dell'elezione diretta del Sindaco: una rotazione nella più alta carica comunale di buona parte dei componenti il Consiglio Comunale.

Possibile, insomma, che la mentalità corrosiva e distruttrice di cui si parla non abbia le sue radici anche in quel contesto storico-istituzionale?
Dalla storia alla geografia, poi, il passo è breve: omettendo quel contesto politicamente ed elettoralmente omogeneo (e pure per questo così aspramente litigioso) che è Portopalo di Capo Passero, neanche altrove è possibile parlare di alta stabilità politica. E' laddove è possibile farlo, non si può prescidere dalla figura e dal profilo del Sindaco: si pensi a Giovanni Giuca ed a Raffaele Leone (curiosamente, eletti quali organiche leaderships di due liste civiche). Orbene, nei mesi del suo "tramonto" -che ci auguriamo, per la stima professionale e politica, non sia tale- il primo cittadino di Rosolini vive oggi il suo periodo più difficile, contrassegnato proprio da una crisi di "discendenza" politica.

Senza dire -a conferma che la litigiosità e la schizofrenia politica non sono mali solo pachinesi- che Giuca vide traumaticamente interrotto il suo primissimo mandato proprio da un ricorso al TAR che portò, per poco, Dell'Ali a sostituirlo. "Mal comune mezzo gaudio" è, tuttavia, un detto che non mi piace: ma guardarsi attorno serve comunque a capire se quanto si patisce, in realtà, non sia magari una malattia endemica più che un difetto genetico.

I mali della politica pachinese "camminano" (assieme ad altre cose più belle) "sulle spalle degli uomini": non è un caso che -sia pure nel suo attuale parossismo, nella sua asprezza, debordante oltre i confini della polemica politica- quest'ultima, ennesima crisi si collochi in un contesto epocale non dissimile da quello del 1992-1993: contesto di cui sembra davvero un dejavu impressionante proprio un altro, imminente, referendum sulla legge elettorale, con i movimenti partitici di contorno cui assistiamo, con lo stesso minuetto ricollocativo delle pedine della politica di sempre.

Un contesto di forte delegittimazione della politica nazionale, di calo verticale della fiducia nelle istituzioni (e nel loro stesso funzionamento), di incapacità di riformarsi sempre più intesa da cittadini come sintomo della volontà di non farlo.

Un contesto in cui s'invoca -anche per la nostra Pachino- un cura traumatica e purificatrice: l'autocastrazione (magari a colpi di zappa) dell'intera classe politica senza che si sia, prima ed in vista di ciò, formata una nuova classe dirigente.

E senza che si sia formata (o riformata), prima ancora, la consapevolezza diffusa di essere cittadini (oltre che, sacrosantamente, famiglie, comitive o gruppi cangianti di pressione), di avere non solo diritti ma anche doveri politici e persino elettorali verso tutti gli altri.
Un passaggio epocale, a Pachino come altrove, i cui presupposti -purtroppo- non riesco ad intravedre, neanche in un lontano orizzonte.

Cordialità
Sebastiano Mallia
Esprimo le mie personali congratulazioni al Dott Lupo per la sua dotta analisi che, sebbene un poco criptica in alcuni passaggi, ha il pregio di approfondire ed esporre le ragioni storiche dell'attuale degrado politico amministrativo o, quantomeno di fornire parecchia materia di riflessione e dibattito. E comunque dimostra come, al di là degli accenti volutamente provocatori che, non di rado, hanno caratterizzato le sue esternazioni orali, egli sia capace di esprimere una compiuta analisi sorretta peraltro da una solida formazione culturale.

Non capisco però il passaggio che riporto ....... “ La nostra visione dell’etica rifugge dal delirio paranoico dell’erotomania e della mistica-riformista, tipico di sette e movimenti politico-religiosi, che si autoalimenta della “presunzione” di voler dettare norme generali comportamentali e di condotta, per meglio costruire improbabili e impossibili Città etiche” , che è (credo … ma forse mi sbaglio) un tutt'altro che velato accenno polemico (ed anche qui parecchio criptico) nei confronti di Città Etica.

Non mi sembra che, nelle sue grandi linee, Città Etica abbia mai propugnato cose diverse dalla correttezza, politica ed amministrativa, e dalla legalità contro le spartizioni, i ladrocini, i conflitti d'interesse ed i mille altri malcostumi d'Italia ed a favore della “buona amministrazione”. E lo ha fatto costituendosi in libera associazione laddove libera significa libertà da ogni potere o pressione ma anche libertà per ogni libero cittadino o pensatore (meglio se entrambi) di aderirvi se vi si trova in sintonia.
Però, ricorrentemente, qualcuno, peraltro molto spesso in sintonia con le stesse cose dette da Città Etica (ed in questo caso lo stesso esimio dott. Lupo), lancia generiche accuse di settarismo, o così mi pare di capire traducendo da “…..delirio paranoico dell’erotomania e della mistica riformistica” (???).

Per chiudere ho da esprimere qualche riserva su alcune cose fra le quali quella di una richiesta generalizzata di azzeramento della classe politica che trovo emotivamente giustificabile, a fronte dell'indignazione crescente prodotta da lustri di vuoto amministrativo, ma qualunquistica poiché contrabbanda l'idea che tutti gli uomini politici siano uguali ed abbiano le stesse debolezze e le medesime colpe. La qual cosa è, per l'appunto, qualunquista e semplicistica.

Cordiali saluti
Giancarlo Barone
(Componente del Direttivo di Città Etica)