Omicidio volontario plurimo e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina: sono i nuovi reati contestati dalla Procura di Siracusa al comandante, agli 11 componenti dell'equipaggio della nave «Yohann» e all'armatore, imputati per la morte di 283 immigrati in un tentativo di sbarco avvenuto al largo di Portopalo la vigilia di Natale del 1996.
La trasformazione del capo d'accusa iniziale, omicidio colposo, è stata decisa dal Tribunale di Siracusa, davanti al quale si celebra il processo. Il Tribunale, accogliendo la richiesta del procuratore Roberto Campisi, ha disposto la trasmissione degli atti alla Procura affinché avvii l'iter per un nuovo procedimento in Corte d'assise. Ieri mattina, immediatamente dopo l'appello dei tredici imputati da parte del Tribunale penale (presidente, Domenico Brancatelli; a latere, Sabrina Tanasi e Carmen Scapellato), il pubblico ministero Campisi ha chiesto la parola per formulare la nuova contestazione di reato sia all'armatore, sia al comandante che agli undici componenti dell'equipaggio della motonave «Yohann».
Per il capo della Procura della Repubblica, che assieme al sostituto procuratore Paola Vallario conduce le nuove indagini su quel tragico naufragio della notte della vigilia di Natale del 1996, a poche miglia dalla costa di Portopalo, i tredici imputati non debbono rispondere di omicidio colposo plurimo, bensì di omicidio volontario plurimo. Conseguentemente, viene meno la competenza giurisdizionale del Tribunale che, invece, passerà a quella della Corte d'Assise, sempre che il giudice dell'udienza preliminare dovesse ritenere fondata e sussistente la nuova più grave ipotesi delittuosa.
Come ha preannunciato il pm Campisi prima di inviare al gup la richiesta di rinvio a giudizio dinanzi alla Corte d'Assise, sono necessarie ulteriori indagini ed ulteriori adempimenti tra cui quello di acquisire il responso della magistratura maltese sulla richiesta della magistratura siracusana tesa ad ottenere l'estradizione di un cittadino pakistano accusato di avere fatto la vedetta tra il porto di Malta e il Canale di Sicilia allo scopo di scongiurare il pericolo (sia alla motonave «Yohann» sia all'imbarcazione di 16 metri che la scortava) di imbattersi in unità navali italiane preposte alla vigilanza contro l'immigrazione clandestina.
Quel cittadino pakistano, stando alle risultanze delle indagini dei magistrati siracusani, sarebbe stato tra i primi ad avere conoscenza del tragico affondamento della barca maltese che scortava la motonave «Yohann» e non si sarebbe attivato per evitare ai malcapitati 283 passeggeri e al pilota della piccola imbarcazione di finire così tragicamente.
Le risultanze delle indagini hanno evidenziato che quella sera, con il mare agitatissimo a causa delle pessime condizioni atmosferiche, a 19 miglia dalla costa di Portopalo, la motonave «Yohann» e la piccola imbarcazione maltese sono entrate in collisione.
Una crepa si sarebbe aperta nella fiancata della «Yohann» ed il comandante, Youssef El Hallal, preoccupato di colare a picco, avrebbe istigato l'equipaggio a costringere i 283 asiatici ad abbandonare la nave e trasbordare sulla piccola barca maltese. L'ordine impartito dal comandante non ammetteva nè rifiuto nè tentennamenti. Secondo alcuni sopravvissuti, i marinai avrebbero dovuto sparare a tutti quelli che si rifiutavano di abbandonare la motonave. Il timore che la piccola imbarcazione non avrebbe retto sotto il peso dei 283 passeggeri, si rivelò fondato.
La barca fu risucchiata e nel volgere di pochi minuti si inabissò e la «Yohann» si allontanò dalla zona per poi riapparire, due mesi dopo, con le fiancate riverniciate, nel porto di Reggio Calabria. Della tragedia al largo di Portopalo rimasero le denunce scritte sulle pareti delle stive col sangue e con strumenti di fortuna da parte di quei poveri asiatici. Ma nessuno vi aveva dato alcun peso, perchè il mare non aveva restituito i cadaveri. Poi, l'estate scorsa, lo scoop di Repubblica ha fatto riaprire il caso del relitto inabissatosi a 18 miglia da Portopalo.
Fonte:
LaSicilia.it il 02-07-2002 - Categoria:
Cronaca