La collana mondadoriana dei Meridiani s'arricchisce contemporaneamente di due volumi preziosi: Saggi ed epigrammi di Franco Fortini curato da Luca Lenzini e con un suo saggio introduttivo più uno scritto efficace e pensoso di Rossana Rossanda; e Racconti, teatro, scritti giornalistici di Vitaliano Brancati a cura di Mario Dondero e con un vasto e complesso saggio introduttivo di Giulio Ferroni. Il caso ci impone dunque una ben strana lettura: anzi, una doppia e affascinante lettura, che può procedere in parallelo docile e sfuggente com'è, ma in fondo significata dalla unicità di una radice che nei due scrittori si pronuncia esplicitamente sulla pagina, felice e irosa in Fortini, felice e paradossale in Brancati.
Due scrittori politici, infatti, nella migliore accezione del termine; due narratori che guardano prima di tutto dentro se stessi, pieni di contraddizioni e di risentimenti e curiosi di una modernità che appena appena percepiscono, ma mai arresi di fronte ad essa. Fortini procede per aggressioni. Brancati accarezza e frusta sorridendo i propri personaggi. L'ironia di Fortini è velenosa, quella di Brancati è pietosa ma mai incline alla dimenticanza. C'è, dunque, una grande differenza di opinioni e di giudizi, ma soprattutto c'è in ciascuno dei due una splendida qualità di rivelazione poetica e morale.
Il Novecento che loro rappresentano si apre così davanti ai nostri occhi nel segno di una sconcertante modernità di descrizione e di lettura. Fortini ha l'istinto dell'amarezza che gli fa confessare: «L'intervistatore mi domanda, a un certo punto, se accetto la caricatura di me stesso come accigliato moralista che tutti rimprovera attorno a sé. Gli rispondo che, sì, l'accetto e che un altro comune amico non sapeva quanto piacere mi avesse fatto chiamandomi, non so dove, mastigoforo, ossia menatore di frusta, come si era detto del critico alessandrino Aristarco». E Brancati invece esclama quasi compatendo: «Molti stupidi si annoiano. Che possiamo farci? Non li confonderemo per questo con l'uomo di genio afflitto dal tedio». Fortini, il toscano, scrive armato e guardingo attorno a sé, tiene sempre a portata di mano lo spirito di Cecco Angiolieri e l'irritazione moralistica di Gramsci. Brancati siciliano confeziona invece, assieme a Longanesi, il proprio Piccolo dizionario borghese che è ancora oggi uno dei testi più divertenti e saggiamente ironici della nostra letteratura contemporanea, non condanna e non assolve ma indica, suggerisce, ride del suo stesso porsi a confronto.
Sia Fortini che Brancati sono due borghesi, il primo è anche ebreo, ma il secondo ha in cuore e nella mente la terra di Pachino, il pieno Mediterraneo di una civiltà che si annette ogni altra civiltà del mondo antico. Ha ragione Lenzini quando osserva che da Verifica dei poteri «inizia il percorso dell'ospite ingrato, la figura che meglio si addice a Fortini, e al suo rapporto con la cultura contemporanea. Inizia qui _ dice ancora Lenzini _ con una irrevocabile messa in valore dell'uguaglianza, l'ininterrotta serie di verifiche che costituisce il filo rosso della sua militanza, in cui d'ora in poi l'elemento eversivo e carica utopica andranno di pari passo».
Brancati non cerca, invece, l'utopia. E Ferroni sottolinea il fatto che «Con il distacco dal dannunzianesimo e con la più intensa disposizione al comico, Brancati manifesta anche uno scatto critico e autocritico verso quella sensualità erotica; ma nello stesso tempo sente in essa qualcosa di ben diverso e di addirittura opposto all'attivismo frenetico del fascismo, al brutale maschilismo imperante nella società ufficiale». Ecco così apertamente dichiarate le distanze fra i due scrittori marxista uno, liberale l'altro, così diversi e così complementari allo stesso tempo nel quadro variegato e complesso del Novecento italiano.
E non solo italiano. Tutti i racconti e gli scritti giornalistici di Brancati danno un eccezionali valore al suo Meridiano, e la medesima osservazione va fatta per Fortini del quale qui vengono raccolti Verifica dei poteri, I cani del Sinai, i tanti articoli e saggi sui poeti e i narratori italiani suoi contemporanei, L'ospite ingrato primo e secondo, Breve secondo Novecento e gli Scritti scelti 1938-1994. Nell'un caso e nell'altro, la lettura parallela che cerchiamo d'imbastire rivela subito e senza finzioni che sia Brancati che Fortini tendevano con tutte le loro forze e istinti a trarre dalla letteratura tanto convintamente esercitata una forza di persuasione necessaria e una critica del presente che raduna in sé il mito del passato come tutte le preoccupazioni dell'oggi il racconto e il testo teatrale come l'epigramma, le idee sulla funzione dell'intellettuale dentro il convoglio in perpetuo movimento della società e l'indulgenza per i vizi che - diceva Brancati - «compongono il mostro, fra l'odio, la riverenza e un sordo piacere generali».
Giuseppe Marchetti
Fonte:
GazzettadiParma.it il 21-12-2003 - Categoria:
Cultura e spettacolo