Brancati, siciliana ironia

Quando l'offerta di letteratura fresca non è molto allettante, si torna volentieri ai piccoli classici che ci hanno tenuto compagnia in un'epoca in cui la cultura umanistica era il fondamento dell'etica. È il caso di Vitaliano Brancati, di cui molti ricordano il capolavoro, Il bell'Antonio, ma più che altro per averne visto la trasposizione cinematografica. Ma Brancati è anche uno dei maggiori scrittori del Novecento italiano, secondo la tradizione che comprende Pirandello, Tozzi, Svevo e Moravia. In Brancati c'è qualcosa di nuovo.
Possiamo accorgercene facilmente scorrendo il volume dei «Meridiani» Mondadori dedicato ai romanzi e ai saggi dello scrittore siciliano. Quanto ai romanzi, ci sono proprio tutti, da quello della giovinezza (Singolare avventura di viaggio) a Paolo il caldo pubblicato postumo nel 1955, a un anno dalla prematura scomparsa di Brancati, avvenuta in seguito a una delicata operazione chirurgica. Era nato nel 1907 a Pachino (Siracusa) ma tutte le sue principali narrazioni sono ambientate a Catania, dove lo scrittore risiedeva. L'arma di Brancati era la satira sociale. Anzi, insieme a Flaiano (e meglio di lui) Brancati è stato il più importante scrittore satirico italiano del secolo appena trascorso, e anche all'estero gli è riconosciuta questa qualità, se è vero che è stato sovente paragonato a Gogol. La vicenda di Brancati è stata drammatica. Siciliano puro sangue, credette nelle progressive e magnifiche sorti del fascismo, quando il regime sembrava avviato a un vertiginoso successo. Ma se ne ravvide assai presto, e la sua giovanile adesione si trasformò appunto in satira, satira feroce. Brancati prese di mira i cavalli di battaglia del fascismo, ossia la virilità, il maschilismo, i sogni imperialistici, il mito del guerriero che trova nella donna un compenso e un riposo.

Come tutti sanno, il suo personaggio più riuscito è appunto il bell'Antonio, grottescamente impotente. Ma in questi romanzi, alcuni molto belli (Gli anni perduti e Don Giovanni in Sicilia), c'è anche un Brancati meno acido e più intimo. Come per Sciascia, anche per il catanese la Sicilia diventò una metafora universale. La noia e l'inettitudine dei suoi personaggi più riusciti sono il correlativo oggettivo di una umanità che si affida alle utopie e alle imprese impossibili pur di non impegnarsi nella società, dominata dai dittatori di qualsiasi risma. Il tipico umorismo brancatiano nasce appunto dal contrasto evidente tra i confusi ed esorbitanti ideali dei personaggi e la dura realtà. È il solito schema donchisciottesco, ma la differenza sta nell'anagrafe dei personaggi, che sono tutti di estrazione borghese o addirittura aristocratica. La prosa di Brancati è estremamente mobile e duttile, e segue con guizzi virtuosistici le contorte e sessuofobiche psicologie dei suoi antieroi. Non meno luminose sono le sue prose saggistiche, presenti in gran copia in questo «Meridiano» curato da Marco Dondero e Giulio Ferroni. La moralità leopardiana nutre la saggistica di Brancati, che di suo ci mette lo spirito satirico.
Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno il 02-08-2003 - Categoria: Cultura e spettacolo

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VITALIANO BRANCATI: ARCHEOLOGICO E INDUSTRIALE.
Io credo che Vitaliano, nella sua grande ed eccletica ironia non abbia mai pensato ai suoi personaggi come "industriali". A distanza di molti anni qualcuno, ha ripensato, non avendo idee sufficientemente calibrate sull'argomento :"Beni Culturali e Ambientali", di reintrodurre il falso concetto di "ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE" a Pachino e nel Promontorio. Un falso storico "politico" e culturale che devia e produce una erroneo e deviante concetto di "Cultura locale". E' siccome, sono sicuro, non si potrà porre rimedio alla quistione non può essere che definito inequivocabilmente, questo orientamento, come: "cultural-ismo" interessato e strumentale e di lontana inequivocabile provenienza. Ma ora, il quadro della informazione è cambiato(INTERNET) e questi nuovi mezzi ci permettono di "correggere". (oltre naturalmente a contribuire a formare una corretta informazione culturale) quanto la moda impone nei saloni del nuovo tempio "culturale" di Pachino.
La Sicilia, di quegli anni, non aveva "industrie" assimilate al concetto e classico e vero di "INDUSTRIA", ma essa era una realtà economico-sociale espressamente e significativamente configurata e inserita in una contesto storico assolutamente ed espressamente feudale. Infatti, negli ultimi anni,almeno 30, si sono scritti dei libri che vorrebbero capovolgere la realtà regionale che in qualche modo è sempre servita alla parola chiave che è "AUTONOMISMO" purtroppo è una realtà che resiste, visto che è sempre stata funzionale per mantere lo "status quo" del potere.Un teoria che resiste,purtoppo, ancora oggi. Sono due gli orientamenti culturali contrapposti che si fronteggiano:(che inequivocabilmente fanno parte della cultura della "sinistra". Quella vera e quella camuffata). Da una parte la cultura storica dei "camuffi" che vuole e descrive la Sicilia fortemente industrializzata: vedi studi di "Capecelatro e Zitara" a cui a suo tempo aderirono: nell'era della rivoluzione Autonoma del 1977 in Italia, gruppi e persone di origine siciliana che ancora oggi (nonostante abbiano da tempo abbandonato quei concetti: che tra l'altro li portava nelle Università a dare esami preparati da altri) non avendo sviluppato e progredito in altri concetti, proseguono su quella falsa "storica" traccia "colturale". E chi, di contro e in verità aderisce e sviluppa quella piu' idonea e permeata da "verità storica" suffragata dai maggiori storici mondiali sull'argomento: (Denis Mac Smith ed altri seri studiosi) e che è introdotta mirabilmente e descritta nel libro di "Emilio Sereni"(il capitalismo nelle campagne)dove: La Sicilia è un susseguirsi di feudi e latifondi ed è formata da valli e colline dove le forme del feudalesimo sono la regola e la legge.Pertanto, l'assimilare forme di archeologia industriale nel nostro Territorio introduce un concetto culturale falso e tendenzioso che va subito chiarito nei termini propri e se si vuole fare corretta "Cultura" locale.(Vedi Libro del Prof. Giuseppe Drago sugli Strarraba di Rudini) Cosa diversa, è se si vuole introdurre un concetto precipuo dell'uso delle macchine e della trasformazione dei prodotti locali(cotone,vino,caci, sommacco) che ha trovato nell'uso del telaio nell'Odissea e di Penelope; nei "Torchi introdotti da Leonardo da Vinci nel 400,"500, o di qualce pompa idraulica;introdotta da Archimede da Siracusa, piu' di 2000 anni fà o qualche altro attrezzo riconducibile a forme e tipologie materiali culturali di derivazione industriale pura: quali sono??: forse la macchina per chiudere le latte di tonno e di sardine!!! Cosa diversa possono essere considerate le Distillerie: di Marzamemi e di San Paolo nella Valle del Tellaro, dove i macchinari "industriali" erano preponderati sulle attrezzature e gli edifici precipuamente progettati e per questo uso realizzati. Pertanto, nel chiudere, mi sembra opportuno chiarire che sia le Tonnare, i Palmenti, cosi come anche le saline non sono in alcuna maniera assimilabili alla cosidetta "Archeologia Industriale" ma alla cultura storico-materiale e artiginale che è presente nel nostro territorio da secoli. Dalla Cantina Elorina. Cordiali Saluti. Spiros.