PORTOPALO - «Hanno cancellato di fatto la polisportiva Savio che per anni ha rappresentato l'unica realtà sportiva in un contesto locale da totale deserto strutturale». Non ha peli sulla lingua, come nel suo stile, don Palacino, della parrocchia San Gaetano, artefice della costituzione dell'associazione salesiana sportiva Domenico Savio che da molti anni svolge la sua attività all'oratorio Don Bosco. «E' meglio parlare al passato - aggiunge don Palacino - poiché le scuole calcio private che vogliono lucrare sui bambini, con il finto e mendace miraggio del successo calcistico, hanno depredato l'oratorio. Sono rimasti solo tre ragazzi, una cosa inverosimile. Avreste dovuto vedere alcuni giorni fa la tristezza che regnava nella struttura sportiva della parrocchia che ho sempre messo a disposizione di tutti, grandi e piccini, in totale gratuità. Adesso, vengo a sapere che, pur di iscrivere i loro figli in queste scuole calcio, le famiglie sono disposte a pagare 250 o 260 euro all'anno».

Il parroco della chiesa San Gaetano ha già comunicato alla sede provinciale della federazione calcistica che per la stagione 2010-11 la Savio non potrà iscriversi ad alcun campionato. «Non abbiamo i ragazzi nemmeno per disputare una partitella d'allenamento. Tutto questo è indicativo della facile manipolazione cui sono stati sottoposti i ragazzi e i rispettivi genitori. Ed inoltre, riferendomi ad alcuni allenatori ed educatori, dico loro che i principali responsabili della disintegrazione della nostra polisportiva sono loro che si sono comportati peggio di Giuda». E' un fiume in piena don Palacino. «Ancora una volta, gente che con Portopalo non ha nulla a che fare, arriva, prende tutto e scappa. Persino la cena inaugurale è stata organizzata fuori Portopalo. Ancora una volta - sottolinea il parroco portopalese - riscontro come sia facile obnubilare le menti di persone che pure ritenevo intelligenti e perspicaci. In questo caso, andrebbe bene l'utilizzo della storia del cavallo di Troia. Ma troppi galli nello stesso pollaio non possono fare tanta strada».

SERGIO TACCONE