L'attualità e la lezione di Immanuel Kant a duecento anni dalla morte: intervista a Emilio Garroni
Di Immanuel Kant si conoscono alcune sentenze proverbiali - "Due cose mi riempiono l'animo di sempre nuovo, crescente stupore e timore reverenziale: i cieli stellati sopra di me e la legge morale dentro di me", dice la più famosa - e numerosi aneddoti sulla sua vita metodica, per cui egli non lasciò mai la città dov'era nato nel 1724, Königsberg, e uscì sempre alla stessa ora - le cinque del pomeriggio, sembra - per la sua passeggiata quotidiana, tanto che i suoi concittadini erano soliti regolare i loro orologi sulla sua apparizione per strada. Cosa che non poterono più fare dal 12 febbraio 1804: quel giorno il portone di casa Kant rimase chiuso. Il filosofo che aveva cambiato il corso del pensiero contemporaneo era spirato.
Con lui non morirono, però, i risultati del suo lavoro intellettuale, volto da una parte a chiarire quali fossero le condizioni che rendono possibile l'esperienza umana, e dall'altra a definire le leggi universali che presiedono a un comportamento moralmente giusto e a una pacifica convivenza tra i popoli. Studi tanto gravidi di conseguenze, che ancora oggi non solo gli specialisti di filosofia, ma anche chiunque voglia riflettere di etica, di politica o di arte, non può prescinderne.
Ne è convinto Emilio Garroni, già professore di Estetica all'Università "La Sapienza" di Roma, profondo conoscitore del filosofo di Königsberg e in particolare della sua estetica, su cui ha scritto il saggio «Estetica. Uno sguardo-attraverso».
- Professor Garroni, a duecento anni dalla sua morte le parole di Kant continuano ad essere citate da uomini politici e intellettuali di diversa estrazione allo scopo di illuminare i risvolti più oscuri della società contemporanea. Penso, ad esempio, al Progetto per una pace perpetua, da più parti invocato per esorcizzare i venti di guerra che ultimamente hanno spazzato il mondo. A cosa si deve tanta fortuna?
"È normale che le teorie di Kant sulla possibilità di garantire all'umanità una condizione di pace perpetua tramite la costruzione di una società cosmopolita abbiano forte eco in un momento in cui c'è chi, al contrario, parla di guerra preventiva. Ma l'attualità del pensiero kantiano non si limita a questo aspetto socio-politico. Anche sul piano della filosofia critica esso continua a esercitare un'influenza enorme, tanto che si può dire che dopo di lui non ci sia stato pensatore di qualche rilevanza che non abbia fatto i conti con le sue idee fondamentali, non fosse che per prenderne le distanze."
La teoria della conoscenza
- Quali sono le idee che Kant ha "lasciato da pensare" alla filosofia contemporanea?
"Il maggiore contributo dato al pensiero contemporaneo concerne la sua teoria della conoscenza. Egli ha avuto il merito di superare il tradizionale dualismo tra razionalismo ed empirismo, soggettivismo e oggettivismo, per dimostrare come non sia sostenibile né la tesi che afferma la possibilità di una conoscenza assolutamente oggettiva della realtà - come se l'osservatore potesse limitarsi a raccogliere i dati dell'esperienza senza doverli elaborare e interpretare tramite le 'categorie' dell'intelletto, - né quella che riduce la realtà a mero prodotto dell'Io, a emanazione della coscienza. Kant ha provato una volta per tutte come la conoscenza scaturisca da un'interazione complessa tra soggetto e oggetto, tra i dati sensibili dell'esperienza e la mente che ha il compito di interpretarli, di rendere determinato l'indeterminato. A differenza degli animali, noi uomini non abbiamo sensi talmente affinati da percepire con chiarezza i dati provenienti dalla realtà esterna: quando un gatto percepisce un topo, non ha dubbi su quello che ha visto, e lo insegue. Noi non percepiamo direttamente un topo, ma un oggetto in movimento che solo dopo un'elaborazione percettiva e preintellettuale siamo in grado di collocare sotto la classe 'topo'. E' su questo deficit sensoriale, in fondo, che abbiamo costruito la nostra cultura: è l'indeterminatezza delle nostre sensazioni ad averci spinto a elaborare le leggi che governano l'esperienza, a edificare quella magnifica costruzione teorica che chiamiamo scienza."
- La relazione tra soggetto e oggetto è al centro dell'estetica kantiana, un ambito della sua filosofia di cui lei è considerato uno dei massimi esperti italiani. Qual è stato il contributo di Kant all'evoluzione di questa disciplina?
"Kant ha dimostrato come l'estetica non sia una scienza o una filosofia dell'arte, quale ancora oggi viene considerata, bensì una disciplina che studia le condizioni grazie alle quali siamo in grado non solo di definire i fenomeni che ci circondano come 'belli' o 'brutti', ma anche di organizzarli nella nostra percezione, di ricondurli sotto determinate categorie e di conferire loro un senso e un'unità tali da poter divenire oggetto di conoscenza scientifica."
- Kant ha scritto che tutti i problemi della filosofia si possono ricondurre a tre domande fondamentali: cosa posso conoscere? Cosa devo fare? Cosa posso sperare? Quale di questi tre interrogativi, secondo lei, è oggi il più attuale?
"'Cosa posso sperare?'. Viviamo in un'epoca quanto mai oscura, colma di minacce che incombono sul nostro futuro. Quella pace perpetua cui aspirava Kant non è al primo posto nella scala di valori di coloro che hanno nelle mani i destini del mondo, e sembra anzi che in questo nostro pianeta si lavori soprattutto per infrangere quel sogno che Kant considerava l'ideale supremo cui ogni popolo avrebbe dovuto tendere."
Uno degli ultimi maestri
- Kant è stato forse uno degli ultimi "maestri del pensiero", una di quelle figure che si stagliano come oracoli, che vivono appartate per poi illuminare il mondo con il loro sapere. Un compito che oggi nessuno si sognerebbe di attribuire a un filosofo. Quale posto occupa la filosofia nella società contemporanea?
"Oggi il filosofo è un emarginato. Nessuno si rivolge più a lui per ottenere risposte alle infinite domande che l'esistenza pone. Di questo, probabilmente, dobbiamo attribuire la colpa - o il merito - proprio a Kant: dopo di lui, gli argomenti sui quali si potrebbe appuntare la riflessione filosofica sembrano essersi esauriti. Tramontate le filosofie specialistiche - di cui gli esami universitari di Filosofia del Diritto, Filosofia della Religione eccetera, sono solo un retaggio, - la riflessione filosofica appare sempre più arida, confinata in sé stessa, incapace di produrre alcunché di nuovo. Ma forse questo non è un gran male: forse il compito della filosofia non è tanto proporre contenuti positivi sempre nuovi, quanto comprendere - e ricomprendere - quello che è già stato capito, e soprattutto correggere gli errori che filosofi e non filosofi commettono nell'esercizio del pensiero. Da questo punto di vista, la voce del filosofo potrebbe non essere poi così inutile come sembra, perché potrebbe attirare l'attenzione di tutti sull'esigenza di pensare."
Maria Mataluno
Fonte:
LaSicilia.it il 11-02-2004 - Categoria:
Cultura e spettacolo