PACHINO - Il 10 luglio del 1943, a Pachino, sbarcarono le truppe alleate. Gli americani, misero piede sul territorio pachinese di notte, sbarcando su una spiaggia conosciuta con il nome di Fondo barche. Dopo lo sbarco, i cittadini vissero momenti di gioia e confusione, all'incertezza della guerra, si aggiungevano l'incertezza e la speranza di una tregua. Molti pachinesi in quei giorni si trovavano rifugiati in campagna, tra questi il signor Antonino Alagona, classe 1925. «Non ero ancora diciottenne quando sono sbarcati gli americani. In quei giorni io e la mia famiglia ci trovavamo in campagna perché il paese era diventato pericoloso. «Quando gli alleati sono sbarcati ricordo solo una grande confusione in tutti noi, non sapevamo bene cosa fare, come comunicare con i nostri salvatori ma, fortunatamente, c'erano tra gli alleati degli emigrati italiani che facevano da interpreti. Molti americani si sono accampati nelle mie terre e appena arrivati mi hanno chiesto dell'acqua. «Ricordo che erano assetati, avevano fame e chiedevano anche dei vestiti per cambiarsi. Molti cittadini, compresi i miei genitori, raccolsero degli abiti per cercare di aiutarli come meglio potevano. Io non ero certo un uomo, ma aiutavo mio padre nel suo lavoro e non avevo sicuramente tempo di divertirmi come avrei voluto, anzi, i pochi momenti di "tranquillità" erano turbati dalla notizia di un amico morto o dal rumore degli spari».
«Io ero piccola quando sono sbarcati gli alleati - racconta la signora Vincenza Lupo, moglie settantaduenne del signor Alagona - ricordo che con la mia famiglia avevamo lasciato il paese ormai invivibile per spostarci in campagna. Il giorno dello sbarco ricordo di essermi alzata presto e di essere uscita sulla veranda, lì, guardando il mare, ho visto tanta confusione, tante barche, subito ho chiamato i miei genitori che, quasi sollevati mi hanno detto che erano arrivati gli americani. «Ricordo che erano tantissimi e che solo poche persone riuscivano a capire la loro lingua, io avevo paura e mi nascondevo in casa, sbirciando mio padre che cercava di parlare con loro da una fessura della porta». Alla fine della guerra Pachino, come tutti i paesi d'Italia era da ricostruire ma, da ricostruire erano soprattutto le speranze, le vite e i cuori dei tanti cittadini che involontariamente ed inconsapevolmente avevano assistito a tanto orrore.
Silvestra Sorbera
Fonte:
LaSicilia.it il 25-04-2005 - Categoria:
Cultura e spettacolo