In primis c'è la morte di trecento migrati asiatici, la più grave tragedia nel Mediterraneo dal secondo dopoguerra. Poi una ricostruzione attenta e approfondita, ripercorsa nei suoi sviluppi giornalistici, investigativi e culturali su più di 450 fonti. Infine un libro "Dossier Portopalo", edito da Eos dl, scritto dal giornalista Sergio Taccone, collaboratore de La Sicilia e di Libero. Perché la pubblicazione di questo libro a più di dieci anni di distanza dal naufragio del Natale? "Dossier Portopalo chiude un periodo professionale di cinque anni e scaturisce dalla determinazione nel mettere in evidenza aspetti che altrove sono stati ignorati, in parte per un preciso disegno mediatico-culturale, volto a rafforzare una predeterminata versione dei fatti riguardo al ruolo e alle colpe dei pescatori, in parte per la cronica disattenzione e superficialità verso le realtà locali". All'inizio del '97 i pescatori di Portopalo trovarono i cadaveri impigliati nelle loro reti. Eppure scelsero il silenzio. "Uno dei motivi fu sicuramente la paura di vedersi fermato il mezzo di lavoro, com'era accaduto, qualche tempo prima, ad un peschereccio locale che aveva portato a terra un cadavere trovato tra le reti. Penso che i pescatori che vennero a conoscenza, da subito, della storia dei cadaveri pescati nel gennaio del '97, non compresero la gravità dell'accaduto. Oltretutto uno dei primi pescatori a sapere dei cadaveri, recandosi, per sua stessa ammissione, nel punto in cui si trovavano i corpi, all'epoca dei fatti era anche assessore al comune di Portopalo. Anch'egli preferì ignorare la cosa, tenendosi questo segreto per cinque anni, fino al 2001, quando decise di rendere nota la vicenda ad un quotidiano nazionale, partendo dal ritrovamento della tessera d'identità di una delle vittime del naufragio". E' opinione comune che tutti a Portopalo sapessero da subito della storia dei cadaveri impigliati nelle reti da pesca.
Da questo assunto è scaturita la condanna morale verso la comunità locale. "Sostenere che tutti sapessero della storia dei cadaveri, anche chi a mare ci va solo in estate per un bagno, è stata una banale e macroscopica semplificazione, ad uso e consumo di una larga parte di settori intellettuali e culturali dalla condanna facile. Una logica inquisitoria da rigettare. Parlare dei pescatori e della popolazione di Portopalo come corresponsabili morali di un crimine contro l'umanità, che non è neppure ben chiaro quale sia, mi sembra assurdo e gratuito. Per restare nel quadro di una demonizzazione che faceva leva addirittura sull'immaginario nazista, riproposto in una inedita versione sicula, ogni volta che i portopalesi hanno tentato di chiarire, di spiegare, di circoscrivere le responsabilità di cui gli era fatto carico dai media, li si è accusati di negazionismo, ignorando che Portopalo ha sempre prestato soccorso e dato assistenza ai tanti migranti sbarcati sulle nostre coste, offrendo loro ospitalità". C'è un aspetto nuovo presente nel dossier rispetto ad altre pubblicazioni sul naufragio? "La messa in evidenza del grande lavoro svolto dalla Procura di Siracusa per accertare la verità dei fatti. Un dettaglio che altrove si è cercato o di minimizzare o di sminuire. I magistrati siracusani, guidati dal procuratore Roberto Campisi, avviarono le indagini sulla tragedia già nel marzo del '97, con grande impegno e acume investigativo. Indagini che portarono al processo contro il comandante e i membri d'equipaggio della nave Yiohan". Eppure fu in seguito allo scoop giornalistico di Repubblica sul ritrovamento del relitto, quattro anni e mezzo dopo i fatti, che si comincia ad etichettare la tragedia come "il naufragio di Portopalo". "Scompare, infatti, il ruolo della Procura di Siracusa, del tutto ignorato persino nella celebre trasmissione "L'Elmo di Scipio" di Deaglio che nel 2001 andava in onda su Raitre". Che cosa ha fatto la comunità di Portopalo per ricordare le vittime di quel naufragio? "Quando la storia tornò d'attualità, nel giugno del 2001, la comunità portopalese ha ricordato a più riprese le vittime del naufragio di Natale. Lontano dai clamori, con la pietà che si deve in queste circostanze e senza alcun intento speculativo come altri, purtroppo, hanno fatto". Eppure oggi, mentre è in corso il processo in corte d'Appello a Catania di Youssef El Hallal, il capitano della motonave Yiohan, Sheik Amhed Thourab, il pachistano-maltese proprietario del barcone naufragato, è stato assolto. Il giornalista Taccone, dopo esser stato aggredito fisicamente nel 2004, si è costituito parte civile.
Silvia Ragusa
Fonte:
LaSicilia.it il 06-08-2007 - Categoria:
Editoria