Chissà fino a quando, nel Mare di Sicilia, i soccorritori seguiteranno a incappare nei cadaveri dei migranti venuti dall’Africa e da chissà dove con le barche della morte. Mucchi di carne umana, stracci che spuntano dai fondali. Merce, soltanto merce e non dovrebbe importare se non sono tutti angeli quegli uomini che hanno tentato l’avventura. Ma la pietà sembra davvero morta.
Ecco il testo del telegramma inviato dopo il naufragio di Capo Rossello, Porto Empedocle, dall’assessore regionale alla Cooperazione, Michele Cimino, al ministro dell’Interno: «A seguito dell’ultima tragedia sono emerse, una volta di più, le difficoltà che vivono i pescatori siciliani costretti a sottrarre il tempo alla loro attività per aiutare i clandestini e, addirittura, a volte, per recuperare i corpi senza vita. Pertanto è necessario intervenire con urgenza al fine di evitare il ripetersi di questa tragedia, nonché di salvaguardare l’immagine dell’isola e le sue attività produttive». ( Giornale di Sicilia , 18 settembre).
La notte di Natale del 1996 un peschereccio maltese affondò proprio davanti a Portopalo, vicino a Capo Passero, e annegarono 283 persone, pakistani, indiani, cingalesi. Per anni i pescatori, in quel tratto di mare dove il 10 luglio 1943 sbarcò l’Ottava armata del generale Montgomery, riempirono di cadaveri le loro reti e per timore di recar danno alla pesca li ributtarono in acqua e stettero zitti. Sono ancora laggiù, monumento subacqueo all’emigrazione clandestina.
D ella quale si sa assolutamente tutto.
È stata studiata, analizzata, sviscerata. Esiste una ricerca della Commissione antimafia - Relazione sul traffico degli esseri umani - del dicembre 2000; è appena uscito dagli Editori Riuniti Le nuove schiavitù , un saggio ricco di notizie di Enzo Ciconte, uno degli studiosi più seri del problema dei poteri criminali, e di Pierpaolo Romani, anch’egli autore di ricerche sull’argomento; esiste un’approfondita bibliografia internazionale.
I rapporti trafficanti-migranti sono di due tipi. Secondo il linguaggio universalmente usato: lo smuggling of migrants , il favoreggiamento organizzato dell’immigrazione clandestina, e il trafficking in human beings , la volgare tratta, finalizzato allo sfruttamento successivo delle persone trafficate.
Si tratta di un affare gigantesco che ha bisogno nei vari Paesi di molte complicità, dalla politica alla burocrazia, dalla diplomazia alla polizia. L’ International center for migration policy development di Vienna presume che siano almeno 400 mila ogni anno le persone introdotte illegalmente in Europa.
Il traffico viene gestito da temibili organizzazioni come la mafia albanese, turca, russa, nigeriana, cinese. E la mafia italiana? Nulla di quanto avviene, qui da noi, in Sicilia, Calabria, Puglia, Campania sfugge al controllo di Cosa Nostra e delle altre mafie. In questo caso, però, si potrebbe dire che la mafia nostrana consente, in cambio di regalie, droga, armi, che il traffico avvenga, ma non partecipa direttamente all’affare pur conoscendone il valore economico: perché lo sfruttamento della prostituzione sarebbe disdicevole. (Almeno per ora).
L’ organizzazione dei trafficanti di uomini è fondata su tre livelli: al più alto i manager, veri e propri amministratori delegati capitalistici; in mezzo i responsabili dei trasporti; all’ultimo stadio i manovali. Visto l’invecchiamento generale, non compensato da una tenuta di natalità, si preannunciano tempi d’oro per i nuovi negrieri. L’Italia è considerata per i migranti soltanto una terra di passaggio. La Puglia non è più al primo posto dei traffici, aumentati invece nel Canale di Sicilia dove i clandestini, il più delle volte poveri cristi, sono arrivati da sempre dal Nord Africa a Lampedusa, a Pantelleria, e dai Paesi arabi e dal sub continente indiano sulla costa orientale dell’isola.
Causa dell’incremento degli arrivi e delle tragedie siciliane non è la Legge Bossi-Fini che avrebbe dato, chissà perché, qualche illusione di regolarizzazione. La legge, piuttosto, poteva essere meno regressiva, meno ossessiva, più chiara, più realistica, poteva tener maggiormente conto del bisogno di manodopera. E anche più umana. Non dimenticare che dal 1876 al 1987 sono stati ventisette milioni gli italiani che hanno lasciato la loro terra per bisogno e in cerca di fortuna.
Fonte:
Corriere della Sera il 01-10-2002 - Categoria:
Attualità