Il culmine della notorietà, non solo nazionale, don Pietro Bruno di Belmonte «fu on.le Cesare», come si formava per distinguersi dai cugini omonimi, lo raggiunse quando una famosa rivista mondana, nel 1982, gli dedicò la copertina inserendolo tra «gli ultimi Gattopardi». Primogenito di Cesare, deputato alla Canera, e di Rosita Rosso di Cerami, don Pietro Bruno, ebbe un fratello, Onorato, vissuto appena un anno, ed una sorella, Giovanna, tuttora vivente. Don Pietro viene ricordato come un affabile e colto aristocratico, viaggiatore, esperto di araldica, amante del mare, «quell'immensità che rappresenta la vera passione di tutta la mia vita», come disse in una delle tantissime interviste rilasciate. Ma in pochi forse sanno che nella giovinezza, fece studi classici al Collegio Pennisi di Acireale, la sua prima passione fu la politica. Seguì, infatti, il padre nell'esperienza del M.I.S., Movimento per l'Indipendenza della Sicilia, e di questa sua attività si è sempre saputo poco.
Giovane studente universitario in Giurisprudenza, fu Presidente della sezione provinciale di Catania della Lega Giovanile Separatista e, in questa veste, coinvolse molti giovani in tutta la provincia nella causa indipendentista. In questo periodo, don Pietro Bruno di Belmonte fu, nonostante la giovane età, un vero leader e anche lungimirante: immaginava, infatti, una Sicilia indipendente anche dagli Alleati che l'avevano liberata dai nazifascisti. E la vede, piccolo Stato come Svizzera e Portogallo, inserita in una più ampia Confederazione degli Stati Uniti d'Europa, protetta da un esercito internazionale al servizio dell'ordine e della pace. Pur inserita in tale contesto europeo, intravedeva «la delicata e nobilitante missione equilibratrice che una Sicilia indipendente avrebbe nel centro del Mediterraneo». Funzione che, secondo il giovane Bruno di Belmonte, sarebbe stata utile allo sviluppo economico dell'Isola. In una intervista del 2 giugno 1945 indicava la meta del suo credo politico: «una piccola Nazione ferace e felice, forte, non d'armi, ma di ordinamenti civili esemplari, oasi di grande benessere in modo pacifico, neutra sempre nelle guerre». Chiedeva ospitalità a giornali avversari ("mi rivolgo da galantuomo a galantuomo") e si presentava in questo modo: «Chi le scrive è uno studente universitario, educato alla scuola della libertà e della democrazia», tanto che al suo primo corso di Giurisprudenza all'università di Roma (1942) respinse la tessera dell'allora dilagante partito fascista.
Suo padre, Cesare Bruno, è uno dei cinque ex deputati aderenti al Movimento per l'Indipendenza della Sicilia, lo zio Felice, residente a Firenze, fu confinato per la stessa ragione, ed un cugino, Luigi Bruno di Belmonte, trovò raccapricciante morte nel massacro delle Fosse Ardeatine». Questo era il suo biglietto da visita in politica. Si oppose energicamente al provvedimento del Governo relativo al confino di Andrea Finocchiaro Aprile e di Antonino Varsaro, capi separatisti. Polemizzando con il presidente Parri, ministro dell'Interno, si chiedeva come mai la propaganda contro l'Unità d'Italia era reato e portava al confino politico di polizia, mentre uno dei ministri più influenti, Palmiro Togliatti sosteneva in piena libertà che Trieste, la cui connessione all'Italia era costata una guerra lunga con oltre seicentomila morti, doveva essere distaccata e ceduta allo straniero. Contestava duramente l'obbligo imposto dal governo Parri di astenersi «da qualsiasi attività indipendendista».
L'attività politica giovanile di don Pietro Bruno di Belmonte fu breve ma intensa. Con la fine della vicenda separatista si ritirò dall'agone politico, molti suoi scritti sono da rileggere sia per la disinteressata e genuina passione politica che li ispira, sia per la profondità e la attualità di certe sue riflessioni. Laureatosi, rivolse la sua attenzione ad altri campi della vita sociale, ma continuò a scrivere.
Nell'archivio di famiglia, gentilmente messo a disposizione dal nipote Francesco Bruno, si trovano tanti inediti e qualche pubblicazione come «Il Vangelo non va a sinistra» (1962), riflessioni di carattere sociali; «Del testamento della zia Preziosa», su vicende di famiglia; «Neo araldica Mauriziana» (1988), testo di araldica, altra sua passione. Alla fine degli anni Cinquanta, don Pietro Bruno di Belmonte torna a vivere nella sua villa di Ispica e si occupa delle proprietà di famiglia. Nel 1965 perde il padre don Cesare, cui era profondamente e devotamente legato. Vivrà fra la villa di Ispica e la tonnara di Capo Passero, con frequenti viaggi nelle capitale europee: Berlino, Vienna, Parigi, Londra, Copenaghen. I suoi interessi saranno vari: l'araldica, le collezioni stravaganti, la cucina francese. Nonostante si dimostra orgoglioso di appartenere ad una famiglia di tradizione liberale e antifascista, deputati sia il padre Cesare che il nonno Pietro che il bisnonno, abbandona la politica «volutamente», ma restò sempre legato alle radici della sua famiglia e della sua terra. «Nella mia vita le radici sono state tutto. Non si può avere lo sguardo rivolto all'avvenire se non si ha lo sguardo continuamente collegato con il passato»: Don Pietro era tornato alle radici, alla sua adorata Ispica, dove è morto il 27 giugno 2004.
Francesco Fronte