Il naufragio del 1996 e le verità distorte

PORTOPALO - «Flucht in den tod» ovvero «Fuga verso la morte». E' questo il titolo di un documentario andato in onda lunedì scorso nel canale televisivo tedesco Wdr all'interno del programma «Diestory». La regia del documentario è di Marc Wiese, giovane regista originario di Dortmund. Al progetto ha partecipato anche il giornalista Karl Hoffmann, corrispondente dall'Italia della radio pubblica tedesca. Il documentario fa riferimento al «Naufragio del Natale '96» a 19 miglia da Portopalo di Capo Passero. In quella tragedia persero la vita quasi 300 migranti, provenienti da Pakistan, Sri Lanka ed India, che speravano di approdare in Sicilia.

Ancora una volta dunque quel naufragio torna d'attualità. Lo schema proposto dai tedeschi segue pedissequamente quanto esposto nell'opera concettuale «Solid Sea» di Stefano Boeri, presentata a Kassel, in Germania, la scorsa estate e dove è sottolineata l'inerzia delle autorità italiane. Non a caso sia il regista che il giornalista compaiono nel sito di Multiplicity, il collettivo che ha realizzato «Solid Sea».
Questo schema è già stato smentito con riferimenti precisi dal gruppo Colophon-Art di Carmelo Causale attraverso la conferenza teatrale «Dal naufragio fantasma al naufragio della verità», presentata il 13 agosto scorso a Portopalo. Tesi ribadita dagli stessi a Kassel nel corso del seminario conclusivo di «Documenta 11» e la scorsa settimana durante la trasmissione televisiva «Ippogrifo» di Nino Milazzo, intitolata per la circostanza «Quella tragedia del mare», andata in onda il 6 ed il 7 dicembre su Video3 e Telecolor.

Colophon-Art ha cercato di avere nell'ottobre scorso un confronto dialettico con Hoffmann, che varie volte si è recato a Portopalo, ma il giornalista tedesco ha rifiutato ogni possibile occasione di dibattito. Nel documentario di Wiese Portopalo diventa «un piccolo villaggio in una terra arsa e dura» ed inoltre si richiamano alcuni luoghi comuni sulla Sicilia, presentando la comunità locale con i soliti clichè: il silenzio, l'omertosità colpevole, l'eroe, il pescatore di Portopalo che rese possibile lo scoop sul ritrovamento del relitto del barcone colato a picco dopo la collisione con la motonave «Yoahn», che emerge in una comunità di primitivi.
Tuttavia il titolo proposto per il documentario richiama alla mente una lirica di Paul Celan, poeta ebraico di lingua tedesca al quale i nazisti sterminarono la sua famiglia. In un sua poesia composta nel 1945, dal titolo «Fuga di morte» (Todesfuge), Celan scrive: «Der tod ist ein Meister aus Deutschland» (La morte è un mastro di Germania).

Sarebbe facile in una contrapposizione dialettica accostare alla parola tedesco, in modo totalmente sbagliato, quella di nazista. Ma è fuorviante allo stesso modo lo schema adoperato dagli autori di «Flucht in den tod»: siciliano=omertoso. La democratica Germania ha dato negli ultimi 50 anni grandi esempi di apertura e tolleranza, accogliendo e facendo convivere pacificamente i turchi con i curdi, ma lo stesso deve avvenire per la Sicilia. Il documentario tedesco pertanto è un'occasione perduta per un confronto intelligente e corretto tra europei sul fenomeno imponente dei migranti. Hoffmann e Wiese sono stati accolti civilmente nei mesi scorsi a Portopalo, trovando la massima disponibilità da parte di tutti. Il loro sensazionalismo sembra fatto apposta però per avvantaggiare schemi preconfezionati, adatti a soddisfare semmai delle menti pigre. Ecco perchè «Flucht in den tod» risulta stantìo e perfettamente inutile in tutti i sensi. Tre quarti d'ora spesi male davanti al video per i portopalesi che da anni vivono in Germania.
Fonte: LaSicilia.it il 12-12-2002 - Categoria: Cronaca

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