dal sito della pro Loco di Pachino:
VITALIANO BRANCATI
UN RACCONTO
In questa parte introduttiva del racconto "Singolare avventura di Francesco Maria", Brancati si sofferma a descrivere alcuni aspetti significativi del suo paese natio. Colori, suoni, ambienti ed usanze. di Pachino agli inizi del '900 rivivono in questo quadretto che l'Autore ha tracciato con una punta di nostalgia e di affetto. Molte cose a cui Brancati fa riferimento sono oggi cambiate, ma rimane la caratteristica di paese "allegro" e fracassone, animato da vitalità e intraprendenza.
Pachino, intorno al '900, non era un grosso paese (come, del resto, non lo e nemmeno ai nostri giorni); e tuttavia era pieno di fracasso. Il vento, che esce da due mari, e perpetuamente corre le strade e rotea nella vastissima piazza, insegnava a tutti e a tutto a fare il diavolo a quattro. Lo insegnava al bambino lattante e lo insegnava all'imposta che, mordendo per due giorni la nuova catenella cui era legata, finalmente la strappava con uno strido di trionfo, e si dava a sbatacchiare a destra e a manca, quasi provando le ali, come un uccello sfuggito alla trappola. Lo insegnava al vecchio tremolante e alla timida ragazza. Come le imposte sbattono, il gallo di ferro del campanile cigola, i corridoi gemono, i vetri col loro tintinnio svegliano le mosche che vi dormono sopra, le tende rullano, il bucato schiocca, cosi le persone non sapevano dir nulla a voce bassa, e fra tutti i Siciliani che gridano eran facilmente ravvisabili perché gridavano di piu. Ma che Iddio le benedica! Non so se anch'esse siano ora ammusite, e abbiano la testa piena di sciocchezze, il cuore nero e la voce bassa. (L'ultima volta che mi recai a Pachino, viaggiai in diligenza, e il cocchiere parlava al cavallo come se la testa del bravo animale fosse a un tiro di schioppo dalla coda). Ma e certo che, intorno al '900, il paese era piu allegro che mai con quel suo frastuono di campane, stecche di persiane, stoffe, scatole di latta, voci, grida, canzonette e suoni di chitarra. Naturalmente nessuna casa o stanza era rumorosa quanto la farmacia. Qui, presso il banco di marmo, si preparavano le serenate per la prossima notte, il ragazzo, nell'angolo di due vetrine, sotto il teschio di cartone con la scritta: Veleni, imparava la chitarra, mentre il giovanotto, arrivato dalla Francia, insegnava, con dei no no, si si, no, 1'ultima canzone all'amico che la ripeteva sul mandolino. Le povere donne, che entravano coprendo con lo scialle il bicchiere ravvolto in una salvietta, ed avevano la memoria piena di gemiti, termometri col mercurio su quaranta gradi, ed esortazione a far presto ("Va in farmacia e torna in un salto!"), cadevano bruscamente fra quei suoni allegri, ariette, "Ogni sera di sotto al tuo balcone", raschi di gola, vocalizzi, come da una botola nella corrente di un fiume. E invano si raccomandavano al farmacista: battendo il tempo su un piatto della bilancetta, egli aveva sbagliato il peso della polverina, e bisognava che ricominciasse da capo. "Comare, che volete?" diceva il farmacista. "Un po' di pazienza!" La notte, i rumori giungevano tutti dall'interno delle case, e gli usci, percossi dalle voci, rullavano come pelli di tamburi. Il segretario comunale, che sedeva a dormicchiare vicino alla soglia, veniva svegliato di soprassalto, e, dopo avere ascoltato un momento, storceva il muso: "Questi qui," diceva, "non sono riusciti a mettersi d'accordo! Matrimonio mal cominciato non finisce bene!" Egli alludeva, in tal modo, all'avvocato Tafuri e alla moglie, che abitavano due strade più lontano, e dei quali sentiva ogni sera 1'animato diverbio che facevano sul letto. "Ci fosse almeno il divorzio!" mormorava un altro signore, che fumava a un balconcino. Lo stesso segretario comunale se, dormendo all'aperto, veniva colpito da parole meno acerbe, anzi tutt'altro che acerbe, con la bocca piena di saliva, e senza svegliarsi completamente esclamava piano piano: "Al nostro vicino, grazie a Dio, nascerà cosi il quinto figlio!" Ovvero semplicemente: "Prosit!" Ovvero anche: "Salute!" Di arte, il paese era totalmente privo. Gli edifici erano stati fabbricati da manovali, e in nessuna facciata o muro era avvenuto, sia pure per caso, che gli spazi e i vuoti si fossero disposti in modo da adombrare un disegno artistico o comunque grazioso. Tracce di quello sforzo umano, che si chiama architettura, all'intorno non se ne vedevano. Il paese somigliava alla lavagna di una scuola elementare, nei primi giorni del- 1'anno scolastico, quando i bambini imparano ancora le aste. Tuttavia questo mucchio di case rudimentali, piccole, disadorne, meno che semplici, brillava stranamente, con un profondo misterioso fascino, al lume di luna; e nelle giornate di ottobre, riceveva le ombre delle nuvole come i progetti e i pensieri di un architetto che una volta o 1'altra sarebbe venuto ad aggiustare i quartieri e a fare di Pachino il più bel paese del Sud. E i cittadini, come i Siciliani in generale, ma con qualcosa di particolare che diremo dopo, avevano tutti una grande vocazione all'arte. Chi possedeva un diploma scriveva una tragedia, chi non possedeva un diploma 1'ascoltava attentamente o la recitava, e chi era laureato la giudicava con gravità. Cercavano tutti la Bellezza; disperatamente la cercavano, come marinai smarriti nelle montagne cercavano il mare. Ma non erano fortunati: la Bellezza, quella che ad essi sarebbe piaciuta enormemente, non la trova- vano mai... Perché non dire la verità? Petrarca, Manzoni, Foscolo, Leopardi, si, grandi poeti, geni: ma avrebbero potuto fare qualcosa di meglio col loro genio; scrivere un po' più su, un po' più alto, più dolce, più vario, più... Non sappiamo veramente come dire, ma nel corso del racconto ci spiegheremo meglio. "Leopardi!" diceva il farmacista, grattandosi la fronte con rabbia, quasi a scavarla sino al punto in cui stanno i pensieri chiari e convincen- ti. "Leopardi, si, non dico di no, bellissimo! Le Ricordanze, Nerina, cose straordinarie, ma vede, vede?..." L'amico sgranava gli occhi aspettando di vedere, ma purtroppo sulla fronte del farmacista non si vedeva che una stilla di sudore. "Vede? Si potrebbe, io non so... Ormai sono vecchio, ma certe volte, la sera, mi vengono in mente situazioni, come devo dirle?... Per disgrazia non ho gli studi sufficienti! Mi manca la parola! Ma voi, voi, giovani, per bacco, che potete leggere... Io credo che studiando si potrebbe scrivere, non dico meglio di Leopardi, ma insomma più come dire? più, più! ..." Di nuovo 1'ascoltatore sgranava gli occhi e di nuovo il farmacista si afferrava con le unghie la carne della fronte. Più, più e più!... Qui era 1'intoppo, e oltre questo intoppo il segreto. Poiché il vento urlava, e tutti alzavano la voce, 'ogni pachinese trovava che i discorsi dei grandi poeti erano come pronunciati all'orecchio. Più alto, per bacco, più alto, più forte! "Dolce e chiara e la notte e senza vento." Bellissimo, senza dubbio. Ma proprio non c'era nulla da aggiungere? Un'altra parola non ci sarebbe entrata, una parola un pochino più risonante, più altera, più rara, più?... 0 santo cielo, com'e difficile esprimersi! Intorno al '900, nei mesi estivi, soleva tornare da Siracusa, ove compiva gli studi liceali, a Pachino in seno alla famiglia, un giovanotto alto e magro con la fronte bianca e spaziosa. Si chiamava Francesco Maria Lanteri, era figlio di un uomo intelligente; nipote di un uomo intelligente, fratello di una ragazza intelligente, anche nel letto, di notte (avendo un piccolo difetto di parlare nel sonno), si esprimeva con eleganza, e sembrava destinato a grandi cose. Abitava una piccola casa terrena, con la porticina cigolante, dormiva in una graziosa camera contigua alla cucina e nella quale, al mattino, lo svegliava 1'odore del brodo già messo a bollire sui fornelli dalla madre mattiniera. Quando alzava gli occhi scontenti verso le finestre, vedeva reste di cipolle e il cielo azzurro dell'estremo Sud nel quale le rondini scorrono come una veloce scrittura. Gli piacevano tutte le specie di suoni, fossero quelli dell'organo o quelli striduli di un martello di maniscalco. Aveva un gran desiderio di diventare scrittore, e nel sogno si attribuiva sempre dei libri, fra i quali le Odi Barbare; ma in verità non s'era ancora cimentato a scrivere alcuna cosa che non fosse un componimento o una lettera. Non sapeva scrivere, se ne accorgeva chiaramente; ma come tanti suoi concittadini, s'accorgeva pure che gli scrittori più rinomati avrebbero potuto scrivere meglio. Aveva una volontà estrema di portare le parole, gli aggettivi, le immagini, al massimo; purtroppo i romanzieri,e poeti che leggeva, tutti indistintamente erano persone prudenti, tentennavano il capo, consigliavano di no, dicevano ch'era meglio non arrischiare, non esagerare, e infine non davano alcun aiuto serio. Ma una sera di settembre giunse a Pachino un commesso viaggiatore. Secondo alcuni, in verità, non fu un commesso viaggiatore, ma un attore dialettale. Secondo altri, un soldato. Differiscono anche sul giorno del suo ingresso a Pachino; i primi dicono che fu una sera di domenica; i secondi, una sera di sabato. Sia come si sia, questo commesso viaggiato- re o soldato o attore aveva comperato alla stazione di Siracusa un libro che gli era molto piaciuto: Le Laudi, Alcyone di Gabriele d'Annunzio. Nel vagone caldissimo e sibilante di zanzare, il brav'uomo s'era messo a leggere, e a poco a poco s'era addormentato lasciando che il volume gli scivolasse sui ginocchi fin sotto i piedi. Non dormi a lungo. "Ehi, amico!" gli disse, scuotendolo per un braccio, un signore seduto dirimpetto. "Questo è il più grande poeta del mondo!" "Chi?" fece lui, nel soprassalto di un risveglio cosi brusco. "Questo!" replico il signore, levando da terra, e porgendogli il volume delle Laudi. "Ah, si? Ah, si? Proprio?" Il commesso viaggiatore chiuse cautamente il libro, con cautela lo riapri, con dolcezza lo richiuse: "Ah, si, il più grande poeta del mondo?... E Dante Alighieri?" "Dico fra i viventi!" aggiunse il compagno di viaggio spazientito. "Ah, fra i viventi! Bravo! Benissimo! Il più grande di tutti!" Cavo un giornale dalla tasca della giacca, lo stese sui ginocchi, e piano piano vi ravvolse il libro; poi tir6 dalla tasca dei pantaloni un paio di lacci da scarpe non ancora usati, ne uni le punte, e lego accuratamente 1'involto. Giunto nell'alberguccio di Pachino, il primo oggetto che estrasse dalla valigia, sotto gli occhi curiosi della cameriera, fu il volume involtato. "Questo qui!" disse alla donna. "Eh, questo qui!... Ho un dannato mal di capo", aggiunse poi con altro tono. "Dov'e la farmacia?" La donna gliela indico, sporgendo fuori della finestra il manico della scopa: "Dopo quel vitello legato al muro!" Giunse il commesso in farmacia col volume sotto braccio: sapeva bene, questo furbo, che un paese si conquista nella sua farmacia. Lo stanzino e il retrobottega erano infatti affollatissimi di suonatori e di conversatori. "Ecco!" disse il forestiero, e poso sul banco il volume. "L'avete letto?" Tutti rizzarono il collo, abbassando le chitarre e i mandolini, come i soldati il fucile all'ordine di armi al piede: "Le laudi?" "Eh, eh!" fece il viaggiatore. "Sentite un po'!" Apri a caso il libro e lesse malamente alcune parole che non capiva. "Che siano delle fesserie?" comincio a pensare, guardando con la coda dell'occhio coloro che lo avevano ascoltato. Ma si avvide che il suo uditorio alzava le orecchie in un modo particolare. "Date qui!" disse il farmacista, inforcando gli occhiali. "Date qui, prego!" Il viaggiatore porse il volume, e il farmacista si diede a scorrere le righe.