Il guardiano di Capo Passero Giovanni Lupo ha 52 anni, da ventisei si dedica a un mestiere che sta morendo: osservare il mare dall'alto di una torre
«In tutta Italia siamo rimasti meno di centocinquanta
E’ una vita dura ma io rifarei tutto. Mi piace dare gioia ai naviganti»
29/10/2006
di Antonio Massari
SIRACUSA. Ultimi lampi a Sud. O prime luci a Nord. Questione di prospettive sul Mediterraneo: Giovanni Lupo l'osserva ogni giorno da una torre alta 34 metri. «Sa quante carrette di immigrati ho visto nella mia vita?». Tante. E molte deve averne salvate, Giovanni Lupo, con quei tre lampi ogni quindici secondi, lanciando l'avviso ai naviganti.
Portopalo di Capo Passero, provincia di Siracusa, la punta più meridionale della Sicilia: quello di Cozzo Spadaro è un faro d'altura. Luce che viaggia per 34 miglia: circa 63 chilometri. E' uno dei duecento fari italiani, molti dei quali disabitati, da quando l'automazione ha preso il sopravvento sull'uomo.
Giovanni ha cominciato 26 anni fa e adesso ne ha 52: tra luci maree e naviganti ha trascorso metà della sua vita. Una passione nata da bambino, guardando uno sceneggiato in tv: «Si chiamava “Il vecchio e il faro” - racconta - e non sa quanto mi piacerebbe rivederlo. C'era un vecchio guardiano che viveva sul faro, di tanto in tanto s'imbatteva nei pirati, e nella torre ci portava il nipote». Di pirati, Giovanni, non ne ha incontrati. Ma le avventure non gli sono mancate. Come quella volta che a Ustica il faro si spense.
La solitudine Era una notte buia e tempestosa: «Il vento spirava a 150 chilometri orari: a causa di un fulmine il faro si spense». Non solo quello. «Non c'era più corrente elettrica. Il telefono era scollegato». Unica soluzione: uscire per accendere il fanale di riserva. «Mia moglie piangeva dalla paura. Per proteggerci dai fulmini ci rifugiammo in una grotta. Ma il fanale d'emergenza cominciò a funzionare». Dice che il faro di Ustica lo chiamano così: «L'omo morto». Incoraggiante. «E' che intorno a quel faro ci sono un sacco di storie». E poi lo scenario: «Una torre costruita a strapiombo sul mare: cento metri almeno. Vedi solo mare scogli e gabbiani». Difficile abitarci da solo, complicato dividere la compagnia: «Pare che un tempo ci abitassero due famiglie. Ma in quella specie di isolamento bisogna saperci stare e per farla breve: ci scappò il morto». Anzi due. «Morì ammazzata la madre e pure la figlia». A Ustica c'è stato anche da solo. «Per sei mesi. Per un po' mi raggiunse un collega, ma durò poco, dopo un mese fuggì per la disperazione. E pensare che era ancora estate».
Il ritorno a casa Sarà una vita romantica, però le complicazioni non mancano. Non ci si pensa: ma anche un farista trasloca. Magari proprio a Ustica: «L'isola è 36 miglia da Palermo. Arrivai con le masserizie è scoprii che non c'erano strade. Solo una vecchia mulattiera. Caricammo tutto su un Ape e via». Dopo anni in giro per l'Italia, è finalmente tornato nel suo paese, a Portopalo, dove si occupa del faro che sognava da bimbo. «M’incantavano le spade di luce che roteavano in cielo. E oggi abito qui con tutta la mia famiglia».
Il team Una squadra sotto la sua responsabilità: «Siamo in tre: forse l'unico faro con tanta gente. Sono il reggente, il responsabile, e ci occupiamo anche di altri fari: quelli dell'isola dei Porri, dell'isola delle Correnti e di Pozzallo». Sono quasi scogli. «Spuntano appena dalla superficie, dobbiamo tenere sempre accesi i segnali di pericolo. Ma non c'è solo questo: sui fari bisogna essere elettricisti, motoristi, effettuare le manutenzioni. Devi saper fare tutto. Incluso andare per mare: tra questi scogli senza attracco». Non è che si guadagni poi tanto. «La media di un impiegato statale». E si tratta pure di un lavoro in estinzione. «Al mio corso eravamo 500: ora saremo meno di 150. Mi ricordo di quando nelle isole, con qualsiasi tempo, dovevo portarci le bombole del gas: servivano a caricare i segnali. Ora va meglio: ci sono i pannelli solari. Ma resta una vita dura. Sulle isole dobbiamo arrivarci alle 6, perché alle 10, quando il vento monta, bisogna essere già di ritorno». Una vita dura, ma Giovanni rifarebbe tutto. «Il faro è un ancora di salvezza, dà gioia ai naviganti».
Fonte:
LaStampa.it il 29-10-2006 - Categoria:
Cronaca