Giovedi 4 novembre debutta in prima nazionale al Teatro della Cooperativa di Milano lo spettacolo La nave fantasma scritto da Giovanni Maria Bellu (autore dell’inchiesta giornalistica) e Renato Sarti in collaborazione con l’attore Bebo Storti.
La produzione vede finalmente la luce grazie ai piccoli ma generosi contributi di singoli cittadini e associazioni, raccolti attraverso la campagna di sottoscrizione popolare lanciata mesi fa dal Teatro della Cooperativa, che con questo progetto rinnova il suo impegno sui temi del teatro civile e di denuncia.
Benché basato su una rigorosa cronaca degli eventi – tradotta sulla scena attraverso i racconti dei protagonisti, ma anche con l’utilizzo di materiale video e la creazione di piantine e percorsi tramite videografica, su disegni di Emanuele Luzzati - l’intento registico è quello di fare ricorso a tutti gli elementi tipici del teatro comico e del cabaret quali l’improvvisazione e il rapporto continuo e diretto con il pubblico.
Gli oggetti di scena, le parole e i gesti degli attori, la scenografia non rimarranno costretti nello spazio della scena, ma invaderanno la platea. In scena gli stessi Bebo Storti e Renato Sarti che, in una sorta di cabaret-tragico estremo e scioccante, coinvolgeranno gli spettatori nella rievocazione di una tragica vicenda e nella riflessione su uno degli argomenti più scottanti dei giorni nostri: toccherà infatti loro rispondere ai quesiti di un ironico e paradossale quiz televisivo, ma anche restituire la testa staccatasi dal corpo martoriato di un manichino-immigrato colmo d’acqua; così come - in parte - il difficile compito di ricreare, nella scena finale dell’annegamento, l’inferno che coinvolse i 283 disperati del battello F-174.
Un meccanismo teatrale diretto, nel quale l’esile diaframma della quarta parete rivela qui tutti i suoi limiti e non regge l’impatto: La Nave Fantasma è una tragedia che deve riguardare - e soprattutto scuotere - le coscienze di noi tutti. Gli autori del testo Bellu, Sarti e Storti hanno ricevuto i primi di ottobre un ricorso d’urgenza da parte dell’avvocato difensore di El Hallal Jousseff, comandante della nave Yohan, che chiede al Tribunale di Milano provvedimenti per impedire la messa in scena. Giovedi 28 si è svolta l’udienza ma il Giudice si è riservato di deliberare tra alcuni giorni.
La sera del debutto sarà presente in sala Salvatore Lupo, il pescatore che – consegnando il documento ritrovato di una delle vittime, Anpalagan Ganeshu – ha fornito una prova dell’avvenuto naufragio e reso possibile l’avvio dell’inchiesta.
Dopo il grande consenso ottenuto con lo spettacolo Mai Morti - Renato Sarti e Bebo Storti si apprestano dunque a regalarci un’altra grande pagina di teatro civile e di denuncia, ancora una volta con l’obiettivo di far discutere, scuotere, prendere posizione.
Giovanni Maria Bellu, inviato speciale de La Repubblica, da anni si occupa dei "misteri d'Italia”: è stato querelato da Previti, Zorzi, Priebke e Fiore. Per l'inchiesta sulla nave fantasma ha ricevuto nel 2002 il Premio Saint Vincent per il giornalismo. Tuttora ne segue lo sviluppo giudiziario.
Renato Sarti, attore, regista e drammaturgo, ha lavorato per molti anni a Milano al Piccolo Teatro e al Teatro dell’Elfo. Come regista, ha collaborato, tra gli altri, con Giorgio Strehler, Paolo Rossi, Moni Ovadia, Zelig. Come drammaturgo ha ottenuto vari premi: IDI, Vallecorsi, Riccione per il Teatro. E’ autore di Mai morti, I me ciamava per nome: 44.787 – Risiera di San Sabba, Nome di battaglia Lia. Da due anni dirige il
Bebo Storti, musicista bluesman, attore drammatico e comico, ha iniziato la sua carriera ai tempi di Comedians, allestito da Gabriele Salvatores nel 1985. Ha conosciuto la popolarità televisiva con trasmissioni come Su la testa e Cielito Lindo, imponendosi poi definitivamente all’attenzione del pubblico con alcuni memorabili personaggi in Mai dire goal. E’ interprete di Mai morti, scritto e diretto da Renato Sarti.
La vicenda
Il 25 dicembre del 1996, nel mare tra la Sicilia e Malta, affondò un piccolo battello carico di immigrati provenienti dall’India, dal Pakistan e dallo Sri Lanka. Le vittime furono 283: la più grande tragedia navale avvenuta nel Mediterraneo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Nonostante le precise testimonianze dei superstiti, i mass media, eccetto rare eccezioni (Manifesto, Narcomafie), non se ne occuparono e le autorità si mostrarono da subito molto scettiche: tanto scettiche che la tragedia del Natale 1996 divenne il naufragio fantasma. Gli stessi pescatori della zona, che recuperarono decine di cadaveri nelle reti a strascico, temendo conseguenze per la loro attività, li ributtarono sistematicamente in mare.
Solo cinque anni dopo, con un reportage reso possibile dalla testimonianza di un pescatore di Portopalo (paese nell’estremo lembo meridionale della Sicilia), il quotidiano La Repubblica, attraverso un’inchiesta del giornalista Giovanni Maria Bellu, riuscì a individuare il relitto in fondo al mare e a filmare i resti dei corpi che ancora oggi lo circondano. Nel giugno del 2001 le immagini della nave fantasma furono trasmesse dalle televisioni di tutto il mondo. Ma - nonostante l’appello di quattro premi Nobel italiani (Renato Dulbecco, Dario Fo, Rita Levi Montalcini, Carlo Rubbia) e alcune interpellanze parlamentari – dopo sette anni, ancora nulla è stato fatto per recuperare il relitto e i corpi delle vittime, restituire loro dignità e ri-consegnare questo episodio alla Storia senza menzogne ed omertà.
Fonte:
Articolo21.com il 03-11-2004 - Categoria:
Cultura e spettacolo
Sul giornalista Bellu, e sulla sua attendibilità come giornalista d'inchiesta, ho trovato una interessante pagina internet. vi comunico l'indirizzo:
http://www.tibereide.it/articoli_dettaglio.asp?articolo_id=77&articolo_categoria=2
Ve la riporta di seguito. E' molto lunga ma ne vale la pena perchè si fa riferimento anche a Bellu e alle sue cantonate passate.
Titolo: Riflessioni sul libro, scritto da Maria Lina VECA,"SCANDALO SOMALIA - ANATOMIA DI UN FALSO" (di Jenny Campagnolo)
scritto in data 26/10/2001
SOMMARIO:
… a tutte le vittime delle istituzioni. A tutti quelli che sono stati abbandonati da coloro in cui credevano perché ormai inutili o scomodi. Alle vittime anonime di casi giudiziari protratti per anni e conclusi con l’innocenza tardiva. Ai morti che non contano, “morti per caso” o per fatalità, dai morti di Ustica a Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, dalle vittime delle multinazionali ai nostri soldati tornati dai Balcani con la leucemia, ai morti del Cermis, ai bambini schiavi…Agli uomini che lottano “da ultimi” contro la mafia e la burocrazia. Per le vittime dell’informazione, sbattuti come “mostri” in prima pagina… Maria Lina Veca ha scelto di scrivere questo libro.
Come equilibristi sul confine tra ferocia e innocenza, la processione delle “vite sospese” procede. Uomini sospesi in attesa di giudizio. Ogni tanto qualcuno scivola giù prima del responso, prima che “giustizia sia fatta”, perde l’equilibrio, precipita. E la processione continua, si allunga, quando occorre recluta nuove leve. Tutti dietro il carro nero del Potere.
Carlini è stato un ‘mostro’ per quattro anni, era il militare che in Somalia aveva strangolato e violentato un bambino. Un mostro! senza che mai nessuna corte l’avesse accusato. Carlini pedofilo-omicida era nato da un’accusa: un piantone somalo aveva visto. I media divulgarono lo scandalo, impreziosito da nomi e cognomi e gradi. Tutti crederono al piantone somalo, nessuno al Tenente Colonnello Franco Carlini, che finì per quattro anni sulla corda di confine tra ferocia scandalosa e semplice innocenza.
CHI ERA FRANCO CARLINI, TENENTE COLONNELLO.
Partecipò alla missione IBIS 2 in Somalia, per la quale gli fu conferita la “Croce di bronzo al merito dell’Esercito”. Nel 1996 è in Bosnia, dove oltre ad un “encomio solenne” per l’operazione “Joint Endeavour” lo stesso Carlini finisce su tutti i giornali per aver salvato la vita a un giornalista bosniaco, insieme con il sottotenente Maturano. Dava “lustro all’esercito” Franco Carlini…
I FATTI.
13 giugno 1997- Franco Carlini viene informato telefonicamente dal giornalista Franco Citati di essere accusato dall’ex-piantone Abdi Addow dell’omicidio e stupro di un bambino, nel 1994, nei locali dell’ex-Ambasciata d’Italia a Mogadiscio.
22 giugno 1997- La notizia esplode su tutti i giornali, che fanno nomi e cognomi: Franco Carlini, stupratore; l’aiutante Maggiore Cerfeda, “palo” alla porta di Carlini; il Colonnello Cantone, superiore omertoso. Tutti sbattuti in prima pagina, al pubblico linciaggio. Senza prove.
Quando scoppia il caso, Carlini non è stato avvisato dall’autorità giudiziaria di alcun provvedimento nei suoi confronti. Viene però convocato dalla Commissione Vannucci e dalla Commissione Gallo, dove rigetta tutte le accuse.
(Le due commissioni lo proscioglieranno completamente, ritenendo il fatto non solo non vero, ma “non verosimile”).
Luglio 1997- Carlini apprende sempre da un giornalista, sempre via telefonica, di essere iscritto nel registro degli indagati della Procura di Milano; allora DENUNCIA PER DIFFAMAZIONE SIA I GIORNALISTI MASSIMO ALBERIZZI (CORRIERE DELLA SERA)E GIOVANNI MARIA BELLU (LA REPUBBLICA), sia il somalo Addow.
8 agosto 1997- La Commissione Gallo chiude i lavori definendo prive di fondamento le accuse di Addow contro Carlini.
Aprile 2001- Il caso Carlini è chiuso, dal punto di vista giudiziario, con la piena e completa archiviazione firmata dal Giudice Salvini.
L’ESERCITO DEI PILATO
Ignoranza: “…ho tratto la convinzione di un’assoluta “ignoranza” della nostra struttura e delle nostre procedure; “ignoranza” che, sicuramente, ha avuto un riflesso negativo sulla durata delle indagini”, dichiara il Generale Fiore, comandante del contingente italiano in Somalia.
Negligenza o altro: “l’Esercito non ha collaborato con la magistratura per negligenza o altro”, accusava il Giudice Salvini chiedendo il supplemento d’indagini.
“Come faccio a credere in comandanti che quando si parla del mio caso si distraggono, guardano i quadri sulle pareti. Come si fa a parlare di responsabilità, sapendo che quando si fanno esercitazioni militari, spesso la prima preoccupazione dei superiori è quella di organizzare il banchetto, magari per ricevere qualche onorevole…”, risponde amareggiato e consapevole Carlini a Maria Lina Veca.
E la giornalista, durante la stesura del libro, si mette alla ricerca di notizie e opinioni che in qualche modo possano aiutarla nella ricostruzione della personalità e della storia del protagonista. Si mette in contatto con i superiori attuali del Carlini, o meglio cerca di farlo, perché nessuno le risponde: l’aiutante del Generale di Brigata Dello Monaco riferisce che il Generale “non è al corrente dei fatti”, che “non legge i giornali perchè non è tenuto a farlo”, e poi dare un parere su Carlini – ufficiale colpito da un’accusa enorme e peraltro già giudicato innocente dalle Commissioni Gallo e Vannucci – vorrebbe dire violare un segreto militare e giudiziario!!! E altre risposte ambigue, ma un fatto su tutti rende l’idea dell’irresponsabilità dei vertici verso Carlini: il 30 giugno 2000 Carlini ha in animo di indire una conferenza stampa per difendere, magari, la sua onorabilità e il suo nome; il Generale Piccione glielo vieta, con queste parole: “… non autorizzo alcun tipo di conferenza all’interno della caserma Mameli da parte del Ten. Col. Carlini sia in divisa sia in abiti borghesi”.
“E’ un uomo completamente abbandonato a sé stesso” dice di lui il Ten. Col. Antonio Miani, “i suoi superiori non hanno mai preso una posizione, sembra che l’istituzione non nutra alcun interesse a voler difendere un suo dipendente. E non parlo solo di comandanti, ma di alti vertici”. E l’aiutante Maggiore Luigi Cerfeda, il “palo”, mai indagato, dichiara: “Siamo rimasti senza nessuna difesa, in balìa delle onde. Io mi sono posto in quiescenza per 3 anni, proprio per questa totale sfiducia nei confronti delle istituzioni militari”. Carlini, Tenente Colonnello, ha i titoli per ricevere la medaglia e l’onorificenza per cavaliere della Repubblica, ma quando il Mar. Lo Vecchio invia al Comando la pratica, riceve una telefonata: “Che cazzo fai? Non sai che Carlini è indagato? Ti rimandiamo la pratica”.
DOMANDE INSOLENTI.
“Perché Addow ha deciso di accusare Carlini?”/“Come vede le accuse rivolte ai militari italiani..”/“Perché il caso Carlini scoppia nel ’97?” /“Lei crede alla casualità delle accuse del somalo, che non è stato pilotato da qualcuno?”- le interviste del libro sono fitte di domande come queste, tese a capire i motivi delle diffamazioni. CHI ha programmato l’ordigno, chi ha ordinato di distruggere Carlini e perché?
“La Folgore non era più gradita in Somalia, e la stampa italiana creò il ‘caso Carlini’”, parla il giornalista criminologo Tommaso D’Attilia, che rileva come servirebbe in Italia un codice etico della stampa, ma spiega che i famosi ‘casi’ nascono secondo due modalità: per caso oppure perché pilotati, e in questo caso il pilota era proprio esperto.
Il singolo caso s’inserisce, infatti, in uno scenario internazionale di ampissimo respiro. L’ONU era venuto in Somalia a portare la pace, ma le maggiori lotte fratricide erano quelle tra i Paesi dell’ONU . Lotte all’interno delle quali qualcuno può aver avuto interesse a screditare le forze armate italiane, anche in vista di future missioni, e anche perché l’Italia in Somalia era ben accetta, al contrario degli Stati Uniti, e gli italiani erano legati a doppio filo con i somali.
CHI HA DECISO, A TAVOLINO, IL FALLIMENTO DELLA MISSIONE.
Parla, fra gli altri, il Maresciallo Lo Vecchio, Sottufficiale contabile in Somalia: “La missione è fallita a livello politico, non militare, ed ha subito una indegna campagna denigratoria da parte della stampa. Se qualcosa ha fatto schifo, quella è stata la politica dei comandanti e di chi ha deciso, a tavolino, il fallimento della missione. Quello schifo non riguarda chi si è comportato con onore”, come il Ten. Par. Gianfranco Paglia che in Somalia ha lasciato le sue gambe, e che deve dare un senso a questa missione, per sé e per chi vi è morto: “Perché- dice- per quelle che i politici chiamano missioni di pace, sono necessarie le armi”.
L’AVVOCATO DOUGLAS DUALE- Presidente Associazione degli intellettuali somali.
Figura di spicco, umanamente e come intellettuale, l’avv. Duale incontra per la prima volta il Col. Carlini durante la presentazione del libro della Veca. Eppure parla dei fatti con una chiarezza e una precisione tali da far apparire la realtà facile da comprendere, semplice, come in realtà è, se ripulita da ammiccamenti, irreperibilità e rimandi. Un uomo responsabile, e lucido, questo è l’avvocato somalo Duale, che parla di ‘famiglia italo-somala’, di vittime della giustizia e dei comandanti, e dà le colpe. ““Non esisteva ancora il caso in Italia, e già gli intellettuali somali sapevano che era un falso. La polizia somala è la più efficiente che esista”. Duale cercò subito di individuare, attraverso l’Associazione degli Intellettuali, a quale famiglia appartenesse il presunto bambino ucciso: “Risultato” dice Duale, “il bambino non esiste!”. “Secondo me- continua- la montatura fu voluta dagli stessi italiani, che mandarono alcuni giornalisti senza scrupoli a rilevare lo scoop”. Duale non aveva mai conosciuto Carlini, eppure lo difese dal primo giorno, quando scoppiò il caso e in Piazza del Popolo c’era la manifestazione dei somali contro le violenze, proprio quel giorno! “E il supplemento d’indagini deciso a metà maggio dal GIP Salvini?”- chiede la giornalista a Duale, “Forse veramente Carlini è ostaggio di un ‘braccio di ferro’ tra Magistratura ed Esercito… forse le alte sfere dell’esercito sono finite preda di un ricatto, per estorsione o altro… il caso Carlini, palesemente falso, è stato fatto scoppiare per ritorsione. La Magistratura tiene in ballo Carlini perché queste alte sfere parlino…”. “La Magistratura tiene aperto il caso e mantiene Carlini in "ostaggio" affinchè l'esercito riveli altri fatti meno gravi ma veri che continua a tenere nascosti”, afferma anche Nicola Aizzano, Sottoten. IBIS 2.
CREDERE…
Scandalizzato: aggettivo qualificativo del popolo italiano. Credere a fatti sconcertanti e, subito dopo deglutirli, con altrettanta facilità. Perché più credulone è un popolo, tanto più sarà avvezzo a tollerare ingiustizie, e quindi ipocrita: mentre da un lato si inquieta dall’altro scuote le spalle.
"CONOSCO CARLINI", "conosco Carlini", "conosco Carlini", "conosco Carlini". Asserzione martellante, testimonianza riprodotta nel libro 22 volte: il Gen. Cantone, il Gen. Fiore, il Col. De Grossi, il Col. Bigongiari, il Gen. Pedone. Il Sottoten. Cangemi, il Ten. Col. Scalas, il Sig. Bono, il Sottoten. Avizzano, il Col. Ventaglio, il Ten. Col. Fermo, il Ten. Col. Miani, il Maresc. Lo Vecchio, il Maresc. Guido, il Cap. Calia, il Cap. Russo… conoscono Carlini.
E Abdi Hassan Addow, il somalo che ha visto Carlini ammazzare il bambino? Appena ultraquarantenne, aveva passato un anno in Italia, nel 1980, come allievo presso l’Accademia Navale di Livorno, dalla quale era stato allontanato per turbe psichiche, precisamente con la diagnosi di ‘note neurotoniche nevrasteniche’…
Ho visto FRANCO CARLINI il x giugno, alla presentazione del libro oggetto di questo articolo. Carlini in giacca e cravatta, oggetto d'attenzioni, d'onore, di solidarietà, di abbracci. E si commuove, felice perché qualcuno ha sentito la responsabilità civile di rimettere assieme i pezzi e codificarli, per presentarli all'opinione pubblica. Carlini carnefice è morto, forse, proprio oggi.
IN SOSTANZA LA SOMALIA.
Regna il Segreto. Nulla sappiamo della Somalia- definita “il Vietnam delle forze armate”- delle armi fatte esplodere, delle violenze usate, di Ilaria Alpi: “E’ possibile che i nostri Servizi Segreti non sappiano nulla di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin? Se così fosse mandiamoli a casa!” irrompe Falco Accame.
Sulla scacchiera dei conflitti internazionali la realtà va reinventata. Torbida, fosca, la realtà dei fatti viene resa presentabile, semplice, ‘commestibile’, viene resa innocua, poco impegnata… ma questo processo indotto crea scarti di verità, superabili solo con la creazione di casi, di assurdi che giustificano le catene falsate di eventi.