PACHINO - Sono stati sindaci per alcuni mesi o per qualche anno. Seduti su quella "poltrona" che scotta, provenendo da schieramenti diversi e posizioni diverse. Ma la loro storia ha un doppio comune denominatore: la sfiducia e il relativo prezzo. Quello di non aver ceduto alle pressioni dei partiti. Decisioni sofferte, ma necessarie per fare i conti «con la propria dignità». In principio fu Carmelo Latino, professore diventato sindaco. «L'opposizione ha sempre fatto la propria parte, ma poi a tradirmi fu la maggioranza – spiega il sindaco sfiduciato alla fine degli anni 90 -, ma quando è la maggioranza ha metterti alla porta rimani di stucco. E dire che io sarei dovuto essere, secondo le indicazioni dei miei sostenitori l'esponente politico di spicco di Pachino. Si parlava di una seconda candidatura al Comune e poi di una al Senato della Repubblica. Ma per ottenere tanta fiducia avrei dovuto condividere scelte che valutavo non condivisibili. Così iniziarono gli attriti culminati con la mozione di sfiducia e la fine della mia carriera politica». Ma Latino non ha rimorsi. «Ho sempre cercato di governare con i principi ispiratori del buon padre di famiglia – spiega – poi mi sono dovuto fermare. Pazienza». Ma secondo il primo degli sfiduciati le cose non sono andate meglio dopo di lui e non è ottimista neanche per il futuro. «Il problema del deterioramento generale della politica non riguarda soltanto Pachino – spiega – ma qui la questione ha radici ancora più profonde. Fin tanto che i consiglieri non comprenderanno che si amministra per la gente e non per risolvere piccoli o grandi problemi personali non si va da nessuna parte. Troppo potente è lo strumento della minaccia della sfiducia, ma i problemi da affrontare sono quelli della gente quelli da risolvere per strada». Non essere un "pupo" si paga a prezzo altissimo. Ma ci sono valori da difendere. Come quella volta che il sindaco Giuseppe Campisi si presentò in aula con una foto dei genitori. Voleva chiarire il concetto a chi fingeva di non capire. Voleva spiegare che ci sono valori che non si possono barattare
«E allora – racconta Campisi – presi la foto dei miei genitori e spiegai al Consiglio comunale che mi avevano cresciuto con valori precisi. Ma a loro non serviva un sindaco con dei valori ma quello che avevo nell'altra mano». E nell'altra mano Campisi esibì, nel bel mezzo del massimo consesso civico, un maccherone. «Ho ereditato una situazione economica disastrosa – dice ancora – volevo cercare di risolvere i problemi più impellenti. Non me ne hanno dato il tempo. Ma chi perde non è Campisi, ma Pachino». Campisi non si arrende e ha meditato un ricorso al Tar avverso alle modalità che hanno portato alla votazione della sua fiducia. Staremo a vedere, potrebbe esserci un colpo di scena dietro l'angolo. «Amministrare è una cosa seria – dice Sebastiano Barone -. Invece tutto si riduceva a cercare un equilibrio nella distribuzione dei posti di assessore e delle relative indennità di mille euro. Impossibile arrivare alla fine del mandato. E come si spiega questa situazione agli elettori. Gli dicono chi votare e poi proprio chi ha invitato a votare sfiducia il sindaco. Quanto ancora potrà andare avanti questa storia». In piazza l'ultima sfiducia si vive quasi con rassegnazione. «Facciano quello che vogliono», è il sentimento comune, un po' irresponsabile ma comprensibile dopo un decennio andato avanti così. Il rischio è che alle urne si presenteranno sempre meno elettori e quel sindaco che vincerà al ballottaggio con il 65% dei consensi nei numeri invece sarà stato indicato solo da una percentuale minima dei pachinesi. A questo non si pensa. Il pensiero è sin troppo oberato da altre questioni: gli assessorati e i posti di sottogoverno. Tanto per fare un paio di esempi.
M. L.
Fonte:
LaSicilia.it il 05-10-2008 - Categoria:
Politica