Tommaso Faraguna, 83 anni portati bene ed una lunga storia da raccontare. E' un reduce della devastante campagna militare italiana di Russia, quando partirono in 78.000 mila e tornarono in 12.000. Nativo di Albona, frazione di Stermazio, nei pressi di Pola, l'ex artigliere dell'esercito italiano vive in contrada Conca d'oro, nei pressi di Marzamemi. Dal 26 luglio del 1941 all'11 febbraio del '43 la campagna di Russia con il terzo reggimento artiglieria guidato dal generale Giovanni Messe.
«Sono un reduce in tutti i sensi - afferma Tommaso con sguardo mite e serenità proverbiale - e ricordo bene quei due anni tremendi passati all'insegna del freddo glaciale tra il fiume Dniepr e il Don». Paesaggi descritti splendidamente da Mario Rigoni Stern nel romanzo "Il sergente nella neve". «Appena in Russia ci furono dieci ore di battaglia pesante - dice l'artigliere Faraguna - con quasi quattrocento bocche di fuoco». Ricorda il vino che veniva dato ai soldati dalla sussistenza, in un sacco che congelava immediatamente. «La cosa più tremenda fu il viaggio di ritorno - aggiunge Tommaso - in mezzi ferroviari fatiscenti, tutti ammassati come animali, al freddo perenne. Non sappiamo con quella temperatura come abbiamo resistito. Ma sta di fatto che io ero tra quelli che fecero ritorno a Vipiteno. Tra i miei superiori c'era il tenente colonnello Spiazzi». Ricorda i chilometri percorsi a piedi, i camion congelati, le rotaie dell'Unione Sovietica di diversa misura per rendere impossibile il transito di treni nemici Ma le sue esperienze di guerra non finiscono di certo con la campagna russa.
Nel 1943 arriva in Sicilia con il suo reggimento, e a luglio viene fatto prigioniero dalla forze armate alleate che erano sbarcate tra Noto e Capo Passero. «Non ci fu praticamente resistenza da parte nostra.- ricorda Faraguna - In men che non si dica gli inglesi ebbero il controllo della zona e per molti di noi cominciò il periodo di prigionia. Io fui catturato a Cozzo Coniglio dove mi trovavo a svolgere il mio compito di staffetta al comando di fanteria». Mandato prima ad Alessandria d'Egitto (campo di prigionia numero 308, matricola 310) e poi a Bengasi, a lavorare negli stabilimenti libici della Fiat controllati dalle truppe britanniche. «Lavoravamo sodo ma non ci davano neanche i soldi per le sigarette. E questo fino a buona parte del '46. In tutto tre anni da prigioniero degli inglesi». Il suo attaccamento alla patria è proverbiale. «Ho rifiutato di far parte dell'esercito jugoslavo perché mi sento italiano anche se nella mia tessera d'identità c'è scritto Jugoslavia accanto al mio paese natio. Ho sempre provato una grande ripugnanza per il maresciallo Tito, torturatore ed uccisore di migliaia di italiani nelle foibe di Venezia Giulia e Friuli».
sergio taccone
Fonte:
LaSicilia.it il 25-12-2004 - Categoria:
Cultura e spettacolo