Lavoro nero con l'etichetta, lo rivela un rapporto COOP

di Fabrizio Gatti

Raccolti dai clandestini. Comprati dalle aziende. Inscatolati e venduti. Vietare i prodotti dello sfruttamento è pressoché impossibile


Alla fine rischiamo di essere tutti complici. Perché comprare pomodori, freschi o in scatola, con la certezza assoluta che nella catena di produzione nessuno abbia violato la legge, è ormai impossibile. Non tutte le aziende agricole italiane si servono di braccianti schiavi, come raccontato nel reportage de 'L'espresso' in Puglia.

Ma se si va a controllare da vicino il rispetto delle norme, si scopre che la prima a essere ignorata è la legge sull'immigrazione. Perché se non fosse così gli italiani dovrebbero dire addio alla pasta al sugo. Dovrebbero dimenticare molte tradizioni gastronomiche per un semplice motivo: il pomodoro italiano (e tanti altri prodotti) finirebbe come piante e animali dell'antichità. Estinto. Non è soltanto una questione di palato. È anche la grande contraddizione dell'Italia dei nostri giorni: un'economia che sta sfruttando gli immigrati e una politica che costringe molti di loro a lavorare da clandestini.

Il circolo vizioso da cui non si esce è riassunto in quattro righe. Fanno parte di una analisi di Coop Italia, il colosso della distribuzione che sul consumo etico ha indirizzato la propria immagine e il proprio impegno.

"È oramai accertato", denuncia un rapporto interno sullo scenario delle coltivazioni in Italia, "che nessun nostro connazionale accetta lavori di raccolta dei pomodori da industria. Né in Puglia, né in nessun'altra regione d'Italia. Quindi, nonostante sia consolidata la necessità di manodopera, non esistono i presupposti per regolarizzare i lavoratori che così, da clandestini, sono soggetti a ogni tipo di angheria e di ricatto".

Riccardo Bagni è vicepresidente di Coop Italia e responsabile della qualità dei prodotti: "Non posso escludere", rivela Bagni, "che un pomodoro raccolto nei modi raccontati nell'inchiesta de 'L'espresso' finisca anche in una nostra scatola. Dai controlli che facciamo, direi di no. Ma non lo posso escludere in assoluto. Per questo bisogna subito organizzare un tavolo politico. E cambiare la legge Bossi-Fini. Perché quella è la madre di tutti i problemi".

Basta leggere le tabelle sulle quote di ingresso. Ed ecco le conseguenze di una legge che invece di favorire l'assunzione regolare degli immigrati, li costringe alla clandestinità. Il decreto del governo quest'anno ha autorizzato per tutta la Puglia 1600 lavoratori stagionali stranieri. Soltanto in provincia di Foggia le aziende agricole ne hanno ingaggiati almeno 5 mila. Ma, secondo alcune stime, potrebbero essere 7 mila. Una manciata di regolari. E un esercito di clandestini controllato dal caporalato, sfruttato a bastonate, costretto a nascondersi.

Per vigilare sulla filiera produttiva fin dall'origine, Coop Italia ha adottato il protocollo di responsabilità sociale 'SA8000' messo a punto dalla ong di New York Social accountability international. È un elenco di norme per fermare lo sfruttamento della manodopera e la violazione dei diritti umani. Nei contratti con Coop Italia, i fornitori devono farsi certificare con gli stessi standard e applicarli ai loro subfornitori.

Il protocollo è una delle basi del commercio etico in Africa. Nessuno immaginava che la sua applicazione fosse necessaria in Italia. E non solo nel settore dei pomodori. "Prima del 2004 non avevamo sentore di questa situazione", racconta Bagni: "Abbiamo cominciato a controllare la filiera quando abbiamo saputo dei risultati dell'indagine sanitaria di Medici senza frontiere tra i lavoratori agricoli del Sud. Adesso i controlli vengono svolti non soltanto da Coop Italia, ma anche dai sistemi qualità dei fornitori. E da enti di certificazione esterni". Dal 2007 le aziende che firmeranno contratti con Coop dovranno inserire nei disciplinari un paragrafo sul rispetto dei diritti dei lavoratori. E, secondo i piani, verrà ulteriormente privilegiata la raccolta meccanizzata.

Ma sapevate di quanto accade in Puglia? "Non avevamo notizia di fatti così gravi", risponde Bagni: "Anche perché tra i nostri fornitori in provincia di Foggia non sono stati segnalati problemi. Ma non ci siamo mai posti la questione sull'impiego dei clandestini in agricoltura. L'importante è che un lavoratore, anche se clandestino, sia pagato dignitosamente e abbia dove vivere. Per uscire da questa situazione, bisogna far capire che il pomodoro italiano e gli altri prodotti costeranno pochi centesimi in più, ma saranno migliori e di migliore qualità etica. Questa è la via. Altrimenti prima o poi in Italia nessuno coltiverà più pomodori. E resteranno i pomodori cinesi. Di cui non sappiamo nulla sulla provenienza, sui rischi per la salute e sullo sfruttamento di chi li raccoglie".

I controlli funzionano se i vari componenti della filiera si conoscono. E condividono gli stessi principi. "Buona parte degli agricoltori però costituisce aziende fantasma", racconta Lillo Scarpa, ex coltivatore di pomodori in provincia di Bari: "Queste aziende sfuggono alla sorveglianza perché non esistono sulla carta. Sono le più spregiudicate. I proprietari dei terreni o gli imprenditori si autoassumono come braccianti stagionali. Si registrano al lavoro un giorno sì e uno no, così possono incassare dallo Stato il sussidio di disoccupazione per i giorni in cui dichiarano di non lavorare. Tra i 7 e i 10 mila euro l'anno. Se si va a vedere chi sono i loro padroni, sono prestanome di ottant'anni. Oppure i titolari non ci sono e basta. Sono le aziende più pericolose per gli immigrati. Tutti conosciamo questa vergogna. Ma nessun assessore interviene perché questi agricoltori portano voti. È un sistema che si regge da solo. Polizia, carabinieri, finanza controllano le aziende regolari, perché sono le uniche che appaiono alla Camera di commercio. Il resto sfugge".

L'alto numero di finti disoccupati riduce la quota di immigrati destinati alla Puglia. Perché invece di dare lavoro agli stranieri vengono privilegiati gli italiani. Anche se nessun italiano va poi a raccogliere pomodori. Così restano i clandestini. "Un esempio è il 2003", ricorda Andrea Accardi, responsabile del progetto italiano di Medici senza frontiere: "Gli agricoltori pugliesi chiesero inutilmente una revisione delle quote. In luglio trovammo nei campi 1.500 immigrati sbarcati poche settimane prima a Lampedusa".

Contro la schiavitù in Italia, i Verdi e il Comitato per la protezione dei diritti umani stanno studiando una campagna: "La risposta dello Stato in Puglia", dice la parlamentare Tana De Zulueta, "per il momento è stata solo contro gli immigrati con l'espulsione dei lavoratori clandestini. Vanno invece mobilitati i consumatori, l'unica forza potente nei confronti dei produttori. Perché questa vergogna non sia dimenticata".
Fonte: Espresso.repubblica.it il 21-09-2006 - Categoria: Attualità

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Considero piuttosto singolare che gli operatori intermediari della filiera come i trasformatori e i distributori non si siano mai accorti del fenomeno....Trovo nelle dichiarazioni "un mix di demagogia e di propaganda markettara!"
Inviterei a riflettere su alcuni punti:
1 tutti quelli che si associano al dibattito, e condividono teorie del genere citate nell'articolo: "Per uscire da questa situazione, bisogna far capire che il pomodoro italiano e gli altri prodotti costeranno pochi centesimi in più, ma saranno migliori e di migliore qualità etica" non dovrebbero limitarsi alle affermazioni, ma dimostrare la fattibilità di cio, nello stesso modo in cui vengono epilogati i fatti di cronaca, e personalmente per esperienza, dubito fortemente che la ripercussione di utilizzo di manod'opera diversa, incida solo di pochi centesimi sui prezzi.
2 E se il problema venisse a valle della filiera e i foggiani fossero anche loro vittime di altra forma di schiavitu? tutto cio nn costituisce forse punta di un iceberg?
3 I cinesi, dato che si parla di loro come di un pericolo....non fanno ancora pomodori da esportare, ma fanno altre cose se non mi sbaglio.....no? Allora se parliamo delle deplorevoli condizioni dell'operaio extracomunitario, nel nome dell'etica e dei diriti dell'uomo, perché non parliamo anche delle loro condizioni di lavoro, nelle fabbriche di hifi, telefonini, computer, automobili, abiti, elettrodomestici, e invitiamo le persone a boicottare i prodotti derivati da tale sfruttamento di manodopera? Non é casuale il discorso é tabù, sicuramente si rischia meno a prendersela con dei pseudo braccianti di ottantanni che sfruttano gli emigrati, che prendersela con le potenti multinazionali che pagano gli spazi pubblicitari sulle prime pagine dei giornali dove vengono pubblicate queste mezze verità.

La problematica é molto più ampia e affonda le radici alla notte dei tempi. Chi si cimenta nei temi quali i diritti dell'uomo deve garantire un minimo di approfondimento dei fatti, mai limitarsi alla superficiale narrazione degli articoli da prima pagina, come propostoci da questi pseudo moralizzatori.

David D.