Mizzica! Mizzica? Sì mizzica, proprio lei, l'esclamazione sicula di meraviglia, rabbia o sconcerto, l'eufemismo che maschera un'espressione più rozza e volgare, il sinonimo consentito all'infanzia, la scappatoia al linguaggio represso, sì questa parola ha conquistato gli onori del vocabolario italiano, è entrata nella edizione 2006 dello Zingarelli, il dizionario che il novantenne protagonista dell'ultimo romanzo di Garcia Marquez, «Memorie delle mie puttane tristi», teneva sempre a portata di mano. Mizzica che scalata per un brandello della nostra lingua e della nostra identità! Nessuno si sentirà provinciale o dialettale quando esclamerà: mizzica! Eppure ci sembra un ingresso tardivo, perché la parola ha conquistato dignità giornalistica e letteraria ma ha perso terreno nel linguaggio parlato, suona un po' antiquata. Le novità di un vocabolario difficilmente sfuggono all'impressione di operazioni sensazionalistiche e irrealistiche. Se dovessimo usare i settecento nuovi lemmi entrati nello Zingarelli, potremmo parlare così: mizzica, mi sento smarmittato a sentire questi neo con tutti embedded nell'esercito americano o alla Casa Bianca. E nemmeno i girotondini mi convincono, sembrano tutti appena usciti da un wine bar, ominicchi, troppo equosolidali e altermondisti... Mah, meglio una videochiamata o un videomessaggio... A quando i videomassaggi? Mizzica che progresso!