Al processo sul tragico naufragio della vigilia di Natale del 1996, si è ieri mattina concluso la fase della discussione, con l'arriga delll'avvocato Giuseppe Cristiano in favore nel processo del pachistano Hamed Sheik Turab, 47 anni, chiamato a rispondere della morte, per annegamento, di 289 cittadini extracomunitari che viaggiavano sulla motonave «Johan». Il penalista, dopo aver sottolineato che al proprio assistito non può assolutamente farsi carico della condotta tenuta dal comandante della motonave Joussef El Hallal, ha chiesto ai giudici della Corte d'Assise (presidente, Romualdo Benanti; a latere, Giuseppe Artino Innaria) di assolverlo dall'accusa di omicidio volontario come dolo eventuale, perchè il fatto non sussiste.

L'avvocato Cristiano, pur ammettendo che Turab possa aver messo a disposizione la piccola imbarcazione, denominata F 107, per rendere più tranquilla la traversata della motonava «Johan» da Malta alla costa di Portopalo, nonchè di aver procurato i viveri all'equipaggio e ai passeggeri dell'imbarcazione, ha sostenuto che non si può attribuire al suo assistito la responsabilità del naufragio e, quindi, la morte dei 289 asiatici che furono inghiottiti dal mare. Contrariamente a quanto sostenuto da alcuni sopravvissuti, il penalista, richiamando le dichiarazioni di altri scampati al naufragio, ha dichiarato che la notte della vigilia di Natale le condizioni climatiche erano pessime, con mare a forza nove. E non fu Turab ma il comandante della «Yohan» a costringere i passeggeri a scendere dalla motonave e salire a bordo della piccola imbarcazione che, per l'eccessivo carico umano, poi si ribaltò e inabissò. Per l'avvocato Cristiano, il pachistano Turab non può rispondere della morte di quei 289 cittadini indiani e pachistani e soprattutto non può essere condannato all'ergastolo, come invece ha chiesto il Pubblico Ministero Filippo Focardi. Per la sentenza, la Corte ha fissato la camera di consiglio per la mattinata del 9 maggio.

Pino Guastella