Pachino, profondo rosso «Le aziende chiudono schiacciate dai costi»

Pachino, profondo rosso «Le aziende chiudono schiacciate dai costi» PACHINO - di Mario Barresi. Lo conoscono davvero tutti. Su e giù per quella spianata di teloni, tempestati di pois rosso fuoco, che planano verso il mare. Il suo vero nome è Ben Dhafar. Ma qui, per grandi e piccini, lui è ormai Giovanni 'u tunisinu. Arrivò nel 1979 («Da immigrato regolare», ci tiene a precisare) e non se n'è mai più andato, nonostante abbia rischiato - per la cecità della burocrazia - di essere espulso. Ma è acqua passata. Come il vecchio mestiere di marinaio nei pescherecci di Portopalo. Adesso Giovanni 'u tunisinu è siciliano fino al midollo. Fa volontariato, aiuta forze dell'ordine e protezione civile nelle fasi più convulse degli sbarchi nel tacco dell'Isola. Accoglie i suoi fratelli dal mare. Ma ha scelto la terra. Il pomodoro. Un piccolo appezzamento, tanto sudore, e la soddisfazione di entrare - da produttore - nel consorzio dell'Igp "Pomodoro di Pachino". Giusto in tempo per vivere la fase più nera della storia dell'oro rosso: «La crisi? Ma certo - ammette - che si sente la crisi. Non arriviamo più a mettere assieme le spese, non ci stiamo più con i conti. E poi, per noi piccoli produttori, è ancora più difficile. Ci schiacciano come delle formiche…». La questione, sia ben chiaro, riguarda almeno dodicimila famiglie, tra Pachino e Portopalo, con un risvolto complessivo di 1.500 aziende e 5.000 addetti. Eppure il trend di produzione è sempre in crescita. Il consorzio di tutela "Pomodoro di Pachino Igp", che raggruppa 400 aziende, è passato da 650 tonnellate di prodotto certificato nel primo anno (2004/05) a quasi 4.000 tonnellate del 2009/10 (quasi interamente ciliegino). Se consideriamo che il totale del ciliegino prodotto nell'area è di circa 7.000 tonnellate annue si arriva oggi al 55% di prodotto certificato Igp; se invece aggiungiamo gli "insalatari" (costoluti e tondi lisci) si scende al 25%. «E se passano le modifiche del disciplinare di produzione proposte al ministero delle Politiche agricole - rammenta Salvatore Chiaramida, direttore del consorzio - così come è previsto a breve termine, le previsioni per il prossimo anno sono di avere oltre 7.000 tonnellate di prodotto certificato su 12.500, per un complessivo 60%».

E allora quali sono i problemi? Il costo del lavoro, innanzitutto. «L'abolizione della fiscalizzazione degli oneri sociali dal 1° agosto - afferma Chiaramida - ci ha dato il colpo di grazia, cancellando lo sgravio del 68% con un ingente danno subito grazie a Tremonti». Fatti due conti in colonna: se prima all'imprenditore una giornata costava 60 euro (45 di netto e 15 di contributi), oggi siamo a 45 più 25, per un totale di 70 euro (+18%). Il rapporto con la grande distribuzione è l'altra questione aperta. «È un sistema spietato, soprattutto per i prodotti di qualità», commenta il presidente provinciale di Coldiretti Corrado Cugno, pachinese, che di recente ha subito l'inquietante incendio di un magazzino della sua azienda in contrada Chiusa Conte. «È uno sciacallaggio - prosegue - che si può vincere soltanto con qualità, controllo e tranciabilità del prodotto. Accorciamo la filiera, moltiplichiamo le esperienze dei mercati contadini dal produttore al consumatore. Anzi: facciamoli davanti ai centri commerciali...».
E poi c'è la "sparata" sugli Ogm.

Quella del ministro delle Politiche agricole, Giancarlo Galan. Un gaffe, un errore, un ammiccamento alla Lega, o magari un messaggio in codice alle multinazionali transgeniche. «Il consorzio di tutela - afferma il presidente Sebastiano Fortunato - ritiene definitivamente chiarito l'equivoco e si chiama fuori dal dibattito sugli Ogm, perché completamente estraneo alla realtà dell'ortofrutta pechinese. Il nostro pomodoro è un vanto del made in Italy e rappresenta il top della qualità, garantita dal marchio Igp, che trae le proprie virtù dalle proprietà uniche di un territorio di produzione che non ha paragoni al mondo». Intanto c'è da tornare in trincea, il consorzio non si dà per vinto. E ha messo in atto una serie di strategie-tampone. Il Comune ha approvato di recente il "Programma di riqualificazione delle aziende agricole pachinesi". I fondi a disposizione - 200mila euro - non sono tanti, ma le azioni previste sembrano andare nella giusta direzione: contributi alle aziende in crisi, tecnici e strumenti gratuiti per abbattere i costi di produzione. «Una parte di queste somme - dice il direttore Chiaramida - dovrebbe servire per attivare i tre agenti vigilatori riconosciuti dal Ministero per eseguire le attività di controllo e di tutela nei punti vendita della grande distribuzione organizzata e nel circuito horeca (alberghi, ristoranti e catering, ndr), per rilevare casi di contraffazione, in collaborazione con l'ufficio repressioni frodi. È diventata questa una priorità strategica visti gli abusi circa la denominazione protetta». Un'ultima schiarita arriva sull'asse Palermo-Bruxelles: «Sono stati approvati tre decreti (misura 133 del Psr 2007/13, ndr) dalla Regione, la quale pur avendo operato dei tagli di circa il 30% delle somme richieste - dice Chiaramida - ha comunque finanziato attività per circa un milione di euro col 70% di contributo da realizzare nel biennio 2011/12» Fin qui le soluzioni "istituzionali". Ce ne riserviamo un'ultima. Frutto di un incrocio - in serra, col sudore sulla fronte - fra tenacia magrebina e siculo fatalismo: «Tiriamo avanti, tiriamo avanti lo stesso. Non voglio arrendermi, non voglio lasciare la mia terra. Io non ho famiglia, non devo sfamare nessuno. Tranne me stesso. E mi accontento di poco, se non c'è nient'altro mi basta un panino. Col pomodoro, naturalmente…». A Pachino il pomodoro non riesce più a garantire il pane. Ma Bhen Dafar, detto Giovanni 'u tunisinu, almeno il problema del companatico l'ha risolto.

(ha collaborato Sergio Taccone)


Dal campo al banco il prezzo triplica



PACHINO - Uno dei luoghi comuni più diffusi identifica il vero pomodoro di Pachino con la varietà detta comunemente "ciliegino". È vero in parte: il disciplinare del "Pomodoro di Pachino" Igp (Indicazione geografica protetta) classifica e tutela ben quattro tipologie diverse di pomodoro, prodotti nei territori di Pachino, Portopalo e Ispica, tutte con peculiarità diverse: "tondo liscio" (piccolo e rotondo, di colore verde scuro, dal gusto molto marcato), "a grappolo" (verde o rosso, tondo, liscio, dal colore brillante), "costoluto" (di grandi dimensioni, dalle coste marcate, di colore verde scuro e brillante) e appunto "ciliegino" (grappolo a spina di pesce con frutti tondi, piccoli).

Secondo i dati forniti dal consorzio Igp oggi i prezzi di vendita in campagna sono di 1,20-1,30 euro al chilo al produttore per il pomodoro convenzionale; 1,60 per l'Igp. La merce - caricata dei costi di selezione, lavorazione, confezionamento e trasporto - viene fatturata alla grande distribuzione organizzata a 2,10-2,20 euro al chilo (convenzionale) e a 2,60-2,70 per l'Igp. I consumatori - soprattutto al nord - si ritrovano il "non griffato" sui banchi a non meno di 3,00-3,20 euro mentre l'Igp schizza a 4,40-4,50, con punte anche di 5 euro in alcune catene che applicano dei ricarichi spropositati.
Fonte: LaSicilia.it il 10-09-2010 - Categoria: Economia

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