Parte l’offensiva on-line dei campioni della repressione

di Federico Punzi

Il fatto che la sessione finale del Summit Mondiale sulla Società dell’Informazione convocato dalle Nazioni Unite si svolga a Tunisi rappresenta già di per sé un paradosso, visto che il governo tunisino incarcera i giornalisti e limita la libertà d’espressione. Marco Cappato e Marco Perduca, delegati del Partito Radicale transnazionale al Summit, lo avevano già fatto presente due anni fa, al momento della sua convocazione. Un po’ come aver affidato alla Libia la presidenza della Commissione Onu per i diritti umani. Alcune personalità della società civile tunisina sono da oltre venti giorni in sciopero della fame per denunciare il regime oppressivo del presidente Ben Ali. Inoltre, alla vigilia del Summit si è appreso che molti siti, tra cui RadicalParty.org, risultano inaccessibili dai computer tunisini. Credenziali non proprio in regola per ospitare un vertice di questo livello proprio sulla "società dell’informazione". Ma il Summit ha suscitato attese e polemiche soprattutto nel mondo di internet.

A Tunisi, infatti, si è discusso se assegnare all’Onu, o comunque affidare a una supervisione internazionale, il controllo tecnico degli indirizzi web, compito finora svolto da un’agenzia privata americana, l’ICANN. Cina, Cuba e Iran spingevano per il sì in funzione antiamericana. L’Europa come al solito ha cercato una mediazione. L’ipotesi che ha prevalso è quella di Kofi Annan, accettata dagli Usa: il delicato compito rimarrà all’Icann, ma riconoscendo la necessità di un coinvolgimento internazionale nelle scelte strategiche della rete, verrà istituito un Forum internazionale “multilaterale, aperto a tutti gli interlocutori, democratico e trasparente” in cui discutere i problemi legati allo sviluppo del web. “Un risultato vicino alla posizione di sintesi del nostro paese, che rivendica quindi un ruolo di leadership all’interno dell’Internet Governance Forum” che vede la luce a Tunisi, ha commentato il ministro dell’Innovazione Tecnologica Lucio Stanca. Molti blogger non credono che affidare la governance della rete nelle mani dell’Onu, o lasciarla in balìa delle dinamiche internazionali tra gli stati, sia una buona idea.

Il problema di un sistema in cui ciascun paese può dire la sua su come gestire internet sta nel semplice motivo che tra questi paesi sarebbero accolte con pari dignità tutte le dittature e le teocrazie possibili e immaginabili. Finora il web è stato gestito nel modo migliore, più trasparente e aperto possibile dall’ICANN. Perché l’Onu dovrebbe occuparsi di internet meglio di come si è occupata di diritti umani, la cui Commissione è stata presieduta anche da paesi come la Libia? Il paradosso del Summit è che non si discute di come costringere le dittature a garantire ai propri popoli un libero accesso a internet – per esempio legando gli aiuti per lo sviluppo tecnologico ai progressi nei diritti umani e nelle riforme politiche ed economiche – ma si lascia che impongano l’agenda dei lavori e si discute di come sottrarre a una società americana un lavoro che svolge egregiamente. L’attuale sistema, oltre a essere un prodotto tecnologico made in Usa, sviluppato coi soldi dei contribuenti americani, e poi messo gratuitamente a disposizione del mondo, ha garantito il libero, rapido e spontaneo sviluppo della rete.

Le domande di "internazionalizzazione" della governance di internet nascondono obiettivi inconfessabili. Soddisfazione e sfogo di ideologie antiamericane e terzomondiste nel migliore dei casi; la volontà di esercitare pressioni per fissare a livello internazionale forme di controllo autoritario della rete nel peggiore. Tanto è vero che in prima fila nel presentare domanda sono gli stati campioni della repressione digitale: Cina, Iran, Arabia Saudita, Cuba, Tunisia. L'Onu d’altra parte non ha mai costituito un argine efficace contro la potente e organizzata lobby delle dittature. Non di rado sono riuscite a far passare imbarazzanti risoluzioni e si sono ritrovate persino a presiedere commissioni per i diritti umani e altri organismi minandone la credibilità. Il rischio concreto è che per il suo elevato grado di “inclusione”, l'Internet Governance Forum non resista a lungo alle richieste pressanti di alcuni stati membri per introdurre forme di restrizione e controllo della rete sempre maggiori.

Arch Puddington, di Freedom House, sul Washington Post, ha messo in guardia proprio da tali pericoli: "Keep the Internet Free". "Se è vero che ICANN funziona con una licenza concessa dal Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti, il governo Americano ha però seguito una politica di stringente non ingerenza; gli atti della ICANN sono trasparenti e le decisioni sono prese solo dopo estese consultazioni" con tutti gli operatori. Tra i paesi che stanno esercitando pressioni "per rimuovere la supervisione da ICANN e trasferirla sotto una nuova organizzazione che farebbe parte del sistema delle Nazioni Unite" vi sono regimi che "hanno preso misure per controllare l’accesso dei propri cittadini a Internet e che si sono distinti in controlli globali sui contenuti nella rete. Non è un segreto il perché Iran, Cina e Cuba fanno lobbying così disperatamente per sostituire ICANN: Internet si è dimostrata una potente arma contro la repressione degli stati".

D’altronde, prosegue Puddington, "la passata esperienza dell’Onu suggerisce che una missione limitata può gradualmente estendersi in territori imprevisti sotto la pressione senza limiti di stati membri determinati. Alcuni dei più vergognosi episodi dell’Onu – in particolare riguardanti i temi della libertà – si sono verificati perché le democrazie del mondo sono state battute da una coalizione dei più repressivi regimi – proprio la coalizione che sta prendendo forma sul controllo di Internet. Lavorando con determinazione e disciplina, questa alleanza delle dittature ha già gettato la Commissione Onu per i Diritti Umani nella vergogna". Sarebbe meglio, conclude lo studioso di Freedom House, che l’Unione europea decida di "allinearsi" agli Stati Uniti. Europa e Stati Uniti dovrebbero fare fronte comune contro ogni cambiamento sostanziale della gestione tecnica del web. L'offensiva da parte della coalizione delle dittature è strategica: per internet passano le maggiori possibilità di destabilizzazione dei regimi autoritari.

La circolazione di informazioni e idee anche in piccole dosi può avere un effetto dirompente sul comportamento politico degli individui e dei gruppi. Secondo lo schema che gli scienziati politici chiamano information cascade, ed Elisabeth Noelle-Neumann "spirale del silenzio", nelle società chiuse i cittadini subiscono l'oppressione senza sapere che ampi settori dell'opinione pubblica vedrebbero con favore un'azione coordinata contro l'oppressore. L'uso di internet e di telefoni cellulari, favorendo la diffusione di informazioni di ogni genere, può rompere questa "spirale del silenzio". Alcuni regimi come Cina e Iran hanno già messo a segno qualche colpo importante nel limitare l'accesso a internet. Dunque qualsiasi – qualsiasi – compromesso negoziato sarebbe una concessione imperdonabile che potrebbe ritardare di anni i processi di democratizzazione.
Fonte: Opinione.it il 19-11-2005 - Categoria: Cronaca

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