Scoppia il caso in Sicilia per le autorizzazioni della regione a una multinazionale americana. Anche l'Unesco contro le estrazioni
Località Maltempo, tra Ragusa e Chiaramonte Gulfi. Sullo sfondo della campagna si intravedono le trivelle. Vicino ai muretti a secco che delimitano allevamenti e pascoli, la recinzione del cantiere. Tutto è pronto per la ricerca di nuovi giacimenti. In poco più di un anno le compagnie petrolifere, quattro in tutto, hanno già dato inizio ai lavori. Il caso più eclatante è quello della Val di Noto, dichiarata area di pregio storico, artistico e naturalistico dall’Unesco, che corre il rischio di essere danneggiata dalle estrazioni.
Ma facciamo un passo indietro. A marzo 2004 il via libera dalla Regione Sicilia a Edison, Sarcis, Eni e Panther per scavare su una vasta area della Sicilia orientale, che comprende le province di Messina, Catania, Enna, Ragusa e Siracusa. Firmando le concessioni e accordando i permessi alle società petrolifere, l’ex assessore all’Industria, Marina Noè, completa quel tanto desiderato processo di liberalizzazione dei mercati della ricerca e dello sfruttamento dei giacimenti di olio e gas siciliani. Tra i permessi quello dato alla texana Panther resources corporation per lo sfruttamento di 746,37 kmq ricadenti in una decina di comuni, tra i quali Noto: sei anni di ricerche a partire dalla data di pubblicazione della concessione. Alla Panther è stato inoltre concesso il diritto di «costruire, esercire e mantenere un sistema di serbatoi e di condotte per raccogliere e conservare gli idrocarburi grezzi e di trasportarli dai campi di produzione ai centri di raccolta, raffinazione ed esportazione».
Ma sono in tanti ad opporsi al possibile scempio della Val di Noto. Spiega Pierpaolo Marescalco, agricoltore e coordinatore del Comitato contro la ricerca di idrocarburi: «Il nostro territorio aveva scelto un altro tipo di progresso, quello ecosostenibile fondato sull’agricoltura di qualità, sulla tutela della natura e sulla promozione del turismo. Non possiamo rischiare di pagare il prezzo di un errore già commesso ad Augusta e nella zona circostante, oggi definita zona ad elevato rischio ambientale». Al comitato aderiscono centinaia di persone ma ancora oggi, nonostante le pressioni dell’Unesco, la questione è bloccata fra decreti, emendamenti prima bocciati e poi riapprovati, da decisioni politiche e interessi economici.
Marilisa Vassallo
Fonte:
lanuovaecologia.it il 28-10-2005 - Categoria:
Cronaca