PORTOPALO - «Giustizia è fatta». E' la frase pronunciata dall'avvocato Francesco Favi, immediatamente dopo che i giudici della seconda sezione penale della Corte d'Appello di Catania avevano finito di leggere il dispositivo di sentenza nei confronti degli astatori del mercato ittico di Portopalo, Corrado Celestre, Giovanni Campisi, Paolo Roccaro e dei fratelli Raffaele e Salvatore Nardone, tutti accusati di associazione per delinquere finalizzata alle estorsioni in danno dei pescatori e dei proprietari di barche. La soddisfazione del giovane penalista, che ha assistito i fratelli Nardone assieme al professore Enzo Musco, è da mettere in relazione alla sentenza di assoluzione pronunciata dalla Corte d'Appello nei confronti dei suoi clienti e degli altri tre astatori, difesi dagli avvocati Antonio Campisi e Seminara. Una sentenza quella dei giudici di appello che ha cancellato la condanna a tre anni e sei mesi di reclusione inflitta a ciascuno dei cinque astatori del mercato ittico di Portopalo dai giudici della seconda sezione penale del Tribunale di Siracusa. Per il collegio della Difesa si è trattato di un indubbio successo perchè la tesi della Procura della Repubblica, che era stata condivisa in pieno dal collegio giudicante aretuseo, è stata sconfessata dalla Corte d'Appello. I cinque astatori sono stati assolti con formula ampiamente liberatoria, per non aver commesso i fatti.
La sentenza del Tribunale di Siracusa è rimasta in piedi soltanto per la conferma delle condanne inflitte ai tre malavitosi coinvolti nella vicenda di pizzo ai danni dei pescatori e degli operatori ittici di Portopalo. E purtuttavia, rispetto alle pene inflitte dai giudici siracusano, la Corte d'Appello ha operato degli sconti all'ex custode del mercato ittico di Portopalo, Giovanni Arangio, assistito dall'avvocato Giuseppe Sena, al francofontese Antonino Dimaiuta, difeso dall'avvocato Franca Auteri, e all'avolese-portopalese Sebastiano Falbo, inteso 'u baruneddu. Infatti, alla coppia Arangio-Dimaiuta la pena è stata ridotta da sei anni e quattro mesi a quattro anni di reclusione, mentre al «baruneddu» la riduzione di pena è stata da otto a cinque anni e quattro mesi.
La vicenda del pizzo imposto sia ai pescatori che ai proprietari di barche di Portopalo, era esplosa nel 1998 a seguito di una capillare indagine avviata da un sottufficiale dei carabinieri che aveva raccolto le lamentele di una quindicina di persone costrette a pagare somme irrisorie a Falbo e soci per non vedersi «visitare» i natanti dai vandali. Nel corso delle indagini venivano fuori anche i nomi degli astatori indicati come i collettori delle somme da destinare a Falbo e soci, considerati vicini ad un clan mafioso. La popolazione di Portopalo manifestava solidarietà agli astatori, ma ciò non impediva alla Procura di mandarli a giudizio.
Fonte:
LaSicilia.it il 22-02-2003 - Categoria:
Cronaca