LANCIO UN ALLARME PER L'ANTICA PACHINOS
Mai paragone fu tanto inappropriato:
--------------------------------------------
Cito:
Comes:"in grado di far diventare Portopalo per l'archeologia ciò che Erice è per la scienza".
Un articolo: sul Direttore del Centro di Erice:Prof.Antonino Zichichi
http://www.vialattea.net/odifreddi/zichichi.htm
ZICHICCHE 0
Piergiorgio Odifreddi
Aprile 1994
--------------------------------------------------------------------------------
Dalle stelle della divulgazione . . .
La vita è una lunga immersione, a vari livelli di volontarietà e consapevolezza, in una cultura dalle forme molteplici: l'architettura, la scultura, la pittura, la musica, la letteratura, la filosofia ci inseguono non soltanto quando le ricerchiamo nei palazzi storici, nei musei, nei concerti, nelle biblioteche, ma anche quando passeggiamo per le città, sfogliamo i periodici, accendiamo la radio o la televisione.
Il parallelo estendersi dell'istruzione da un lato, e della capacità tecnologica di riproduzione di parole, suoni e immagini da un altro, ha prodotto un duplice ossimoro: una cultura di massa, e una massa di cultura. In particolare, produzione e fruizione sono salite in quantità e scese in qualità, in entrambi i casi drasticamente.
Un fenomeno interessante si è verificato nell'interzona fra produzione di alto livello e fruizione di basso livello: l'uso di mezzi espressivi universali quali il suono e l'immagine, o non tecnici quali il linguaggio naturale, ha creato un'illusione di comprensione di opere non difese da un linguaggio specifico, permettendo ad esempio lo stupefacente successo della musica classica presso un pubblico musicalmente analfabeta.
Poiché le scienze sono trincerate dietro un linguaggio tecnico, esse risultano in principio meno indifese delle forme di cultura citate finora: lo stesso pubblico che è disposto a restare ore in coda per conquistarsi il biglietto di un concerto di Brahms, troverebbe ridicolo fare altrettanto per una conferenza di teoria dei numeri (senza peraltro accorgersi che nel primo caso non saprà riconoscere un solo accordo, mentre nel secondo avrebbe almeno familiarità con qualche simbolo).
Le difese delle scienze stanno però ormai cedendo di fronte all'espansione del mercato della cultura, logica conseguenza della cultura del mercato. Il simbolo del mercimonio è oggi l'inserto del giornale, evoluzione moderna di quella terza pagina che Hermann Hesse stigmatizzò nel Gioco delle perle di vetro, scagliandosi contro gli intellettuali che vi contribuivano. Queste forme sono condannate senza rimedio a superficialità e frammentarietà, ma esiste anche un mercato potenzialmente piu serio, di periodici e libri.
Per colmare il divario fra scienza e pubblico è nata la figura del divulgatore, col ruolo di interfaccia fra il linguaggio scientifico e quello naturale, e con la funzione di esprimere in parole le idee che lo scienziato ha tradotto in formule. Il linguaggio scientifico non è però una perversità, bensì una necessità: se fosse possibile esprimere sempre ed in modo efficiente le idee scientifiche con parole, gli scienziati lo farebbero essi stessi.
Nella migliore delle ipotesi la divulgazione può dunque avere soltanto un successo parziale, 1 ed è esposta piu delle altre forme culturali di massa alla illusione di comprensione cui abbiamo accennato. D'altra parte, nei casi in cui effettivamente abbia successo, essa può contribuire all'inserimento della scienza in una prospettiva culturale più vasta di quella in cui la confina il linguaggio scientifico.
Proprio per la difficoltà della sua realizzazione e la delicatezza della sua funzione, la divulgazione richiede talenti che da un lato sappiano far evaporare dall'aridità delle formule la loro atmosfera intellettuale, e dall'altro riescano poi a farla precipitare in una forma letteraria che ne colga l'essenza.
Tali talenti sono rari, ma esistono. Ad esempio, molti premi Nobel hanno saputo esprimere in forma piana e informale, ma rigorosa, i risultati delle loro ricerche: Albert Einstein (Relatività, 1916), Max Born (L'instancabile universo, 1936), Erwin Schrödinger (Che cos'e la vita?, 1944), Werner Heisemberg (Fisica e filosofia, 1958), James Watson (La doppia elica, 1968), Francois Jacob (La logica del vivente, 1970), Jacques Monod (Il caso e la necessità, 1970), Salvatore Luria (La vita: un esperimento non finito, 1973), John Eccles (La comprensione del cervello, 1973), Steven Weinberg (I primi tre minuti, 1977), Ilya Prigogine (La nuova alleanza, 1979), Richard Feynman (Qed, 1985), Renato Dulbecco (Il progetto della vita, 1987), Gerald Edelman (Sulla materia della mente, 1992), Francis Crick (La stupefacente ipotesi, 1994) ...
Né si deve pensare che soltanto le scienze naturali (fisica, chimica, biologia, medicina, da cui i citati premi Nobel provengono) possano essere divulgate in modo pienamente soddisfacente, semplificando tutto e solo ciò che è possibile: 2 anche la matematica, che nell'inconscio collettivo è difficoltà massima di comprensione, può essere divulgata con successo.
Per fare un solo esempio, che ci avvicina al nostro obiettivo più immediato: nel 1918 Bertrand Russell scrisse in sei mesi di prigionia l'Introduzione alla filosofia della matematica, un classico di divulgazione dell'infinito e della logica. Per inciso, Russell ottenne nel 1950 il premio Nobel per la letteratura, pur senza aver mai prodotto opere propriamente letterarie.
. . . alle stalle della volgarizzazione
Abbiamo citato con dovizia premi Nobel perche l'autore del presente volume, benché non (ancora) insignito lui stesso del premio, ha spesso organizzato convegni a cui essi accorrevano come mosche, e nella nostra memoria la sua figura era prima d'oggi a loro legata.
Il suo nome è ben noto al pubblico, ma per coloro a cui esso fosse sfuggito possiamo ricordare brevemente, dalle note di copertina, che oltre ad essere "scienziato di fama mondiale", più precisamente "autore di molte scoperte nello studio delle Forze Fondamentali della Natura", egli si distingue "per la sua straordinaria capacità di spiegare con un linguaggio semplice le grandi conquiste del pensiero scientifico, senza nulla togliere al loro rigore concettuale".
Il Professor Zichichi, perche possiamo ormai svelare che di lui si tratta, ha messo queste sue doti al servizio dell'infinito (matematico), ed ha effettivamente scritto un libro straordinario, dal titolo in verità un poco prevedibile, ma la cui trama ci ha tenuti col fiato sospeso fino alla conclusione: un vero thriller della matematica.
L'autore vuol dimostrare di saper trattare alla pari (piu precisamente, da par suo) non solo con i contemporanei grandi della scienza, ma anche con i mitici grandi della matematica: egli ha quindi scelto come personaggi della sua avvicente storia Pitagora ed Euclide fra gli antichi, Georg Cantor, Bertrand Russell e Kurt Gödel fra i moderni.
A Pitagora viene attribuita la scoperta dell'esistenza di numeri irrazionali, cioè di numeri reali non frazionari o, equivalentemente, senza sviluppo decimale periodico. Il professor Zichichi non sembra essere molto a suo agio con gli irrazionali, perche parla di "numeri frazionari (razionali o irrazionali)" (p. 134), e crede che lo sviluppo di un irrazionale sia "una successione di numeri senza alcuna regolarità e senza sosta" (pp. 191 e 194). 3 Ma a sua (non richiesta) scusante, egli aggiunge l'interessante osservazione che "alla fisica bastano i numeri razionali" (p. 242).
Il ruolo di Pitagora in questa storia è secondario, mentre quello di Euclide è più importante. Qualunque studente di scuola media sa che due rette si dicono parallele se non si incontrano mai, e che il quinto postulato di Euclide asserisce l'unicità della parallela ad una retta data passante per un punto fuori di questa. Evidentemente, però, non ogni professore lo sa: il nostro, in particolare, sostiene che "col quinto assioma di Euclide si dice che due rette parallele non si incontreranno mai: è necessario un atto di fede" (p. 217).
Non si può che concordare sull'ultima parte di questa affermazione, visto che noi non credevamo ai nostri occhi quando abbiamo letto la prima! Ad Euclide si attribuisce anche la dimostrazione del fatto che ci sono infiniti numeri primi o, equivalentemente, che non esiste il piu grande numero primo. Di fronte a tali pedanti formulazioni, il cui unico merito è di essere corrette, la penna del bravo divulgatore freme, e produce riformulazioni forse matematicamente insensate, ma letterariamente durature: "Euclide riesce a dimostrare che non può esistere il più grande numero primo. Pertanto non c'e limite a quanto grande possa essere il più grande dei numeri primi" (pp. 206, 226).
Con Cantor entra in scena il personaggio principale della storia dell'infinito matematico. Egli trovò un modo per paragonare le grandezze di due insiemi qualunque, 4 e scoprì che non tutti gli insiemi infiniti hanno la stessa grandezza: ad esempio, l'insieme dei numeri reali ha una grandezza maggiore dell'insieme dei numeri interi. Cantor si chiese se queste due grandezze fossero immediatamente successive, e il problema divenne noto come ipotesi del continuo (perché l'insieme dei numeri reali è anche chiamato continuo).
Credendo che la grandezza del continuo sia immediatamente successiva a quella dell'insieme dei numeri interi per definizione (pp. 140, 167, 228), il professor Zichichi si ritrova legato mani e piedi, apparentemente impossibilitato a formulare l'ipotesi del continuo. Ma l'Houdini della divulgazione non solo riesce a liberarsi: egli raggiunge la propria apoteosi, chiedendo se "tra un livello di infinito e il successivo non esistono altri livelli d'infinito" (pp. 142, 229), e scambiando così una sua improvvida domanda (a cui egli stesso avrebbe potuto rispondere, semplicemente consultando un dizionario alla voce `successivo´) con uno dei più profondi problemi della matematica moderna.
Cantor non si era limitato a dimostrare che esistono due livelli di infinito: in realtà, la sua dimostrazione che l'insieme dei numeri reali ha una grandezza maggiore dell'insieme dei numeri interi è perfettamente generale, e prova che per ogni grandezza di infinito ne esiste una maggiore. Ormai possiamo attenderci che ai teoremi di Cantor corrispondano problemi del professor Zichichi, ma ci è ancora difficile prevedere quali. E infatti, ecco l'imprevedibile: a costruire livelli di infinito sempre piu alti "Cantor ci avrebbe provato con tutte le sue forze, illudendosi di riuscire in questa impresa titanica, ma in verità formulando una teoria intuitiva. E non rigorosa, come lui avrebbe sperato" (p. 135).
Possiamo qui tirare un sospiro di sollievo: se la teoria di Cantor non è rigorosa secondo i soggettivi criteri del professor Zichichi (ben testimoniati dalle citazioni precedenti, e più generosamente dispiegati nell'intero libro), essa certamente lo è secondo gli oggettivi criteri dei matematici. Ci rimane pero una curiosità psicoanalitica: quale pecca di rigore avrà mai scovato il pigmeo della divulgazione nell'opera del gigante della teoria degli insiemi?
Ed ecco la risposta: "i nuovi insiemi infiniti portano al concetto di classe delle classi" (pp. 220, 223). Non c'e dubbio che se il teorema di Cantor richiedesse in qualche modo la classe di tutte le classi, ci sarebbe effettivamente un bel problema: la fama di Russell è infatti basata sulla scoperta che tale classe è contradditoria. 5 Il professor Zichichi, strano a dirsi, sa pure lui che la classe di tutte le classi e contradditoria, e si trova quindi di fronte al problema di dover spiegare come sia possibile che un teorema si basi su una contraddizione. 6 Dopo tutti gli scivoloni precedenti egli è comunque ormai in caduta libera, e ci annuncia che "la classe di tutte le classi si puo benissimo costruire, a patto di non pretendere che essa sia la conseguenza rigorosamente logica di una costruzione assiomatica: prendiamo come assioma che deve esistere la classe delle classi" (p. 224).
Ma la matematica non aborriva forse la contraddizione, come la natura aborre il vuoto? Si, veniamo a sapere, ma solo fino al 1931: "per millenni l'uomo aveva pensato che per una affermazione possono esistere solo due possibilita: o è vera, o è falsa. Non puo esserci una terza possibilità. E questo il famoso principio del terzo escluso. Gödel scoprì invece che, nel cuore della Logica Matematica, c'è la terza possibilità" (p. 214).
Non vorremmo essere accusati di malafede, visto che abbiamo fornito una citazione sul fallimento del principio del terzo escluso (`una affermazione è o vera o falsa´), e non una sul fallimento del principio di non contraddizione (`una affermazione non può essere sia vera che falsa´). Al lettore perplesso dobbiamo confessare che lo siamo anche noi ma che, per qualche motivo, il professor Zichichi ci assicura che la scoperta di Gödel "permetteva di riflettere in modo nuovo sull'opera di Cantor" (p. 224).
Per completare il quadro, ci tocca però ancora dire in che cosa consiste questa scoperta di Gödel. In parole povere (nostre): che per ogni sistema matematico non contradditorio e sufficientemente potente, esistono formule vere che non sono dimostrabili, cioe verità che non sono teoremi. 7 In parole ricche (sue): che "sarà sempre possibile trovare un teorema che nessuno sarà in grado di dimostrare: vero oppure falso" (p. 148).
È vero che il pubblico dei media è assuefatto a stupri linguistici quali `teorema Calogero´ o `teorema Buscetta´, in cui la parola `teorema´ viene usata come sinonimo di affermazione non dimostrabile. In matematica essa significa però l'esatto opposto, e assimilare le argomentazioni di Gödel a quelle di un grande inquisitore o di un mafioso pentito trascende la pessima divulgazione: è puro vilipendio alle istituzioni matematiche.
Si avvicina comunque alla fine il vangelo dell'infinito secondo Zichichi, in venti grandi tappe, di cui la prima è cosi sintetizzata dall'evangelico divulgatore, evidentemente in vena autobiografica: "L'uomo appare sulla terra. Non ha ancora inventato il linguaggio. Si esprime gesticolando" (p. 225).
Conscio che "parlare d'infinito è un'impresa veramente ardua" (p. 176), e che "a questo punto il lettore potrebbe essere interessato a sapere come stanno le cose" (p. 219), il professor Zichichi volge in chiusura un ultimo sguardo alle macerie sotto cui ha seppellito il suo malcapitato argomento, e non può non ammettere che "in effetti il discorso va anzitutto approfondito, eppoi ampliato" (p. 242). Benché ignara della mancanza principale del libro (la correttezza, ben prima della profondità e dell'ampiezza), una tale sincerità ci rende comunque l'autore simpa(te)tico, e ci spinge a cercare di concludere in tono positivo.
Pensavamo quindi di dire che non avevamo in precedenza mai letto un thriller in cui l'autore, pur non comparendo fra i personaggi, è l'assassino; ma abbiamo scoperto nell'Ouvroir de Litterature Potentielle che questa trovata letteraria era già stata escogitata. Forse è originale una trama finita con una vittima infinita, ma anche qui il ricordo di Kafka non ci permette di arrischiarci.
Solo per mancanza di argomenti, quindi, e non di buona volontà, siamo costretti a chiudere in tono negativo. Per restare sul poliziesco, vorremmo osservare che se sei mesi di galera sono stati per Russell lo stimolo per un ottimo libro sull'infinito, essi potrebbero anche essere per il professor Zichichi una giusta punizione per uno pessimo. Ma forse, di questi tempi, non è bene scherzare su certe cose.
Bibliografia
Il lettore che abbia letto il libro del professor Zichichi è ormai infettato, e necessita di antidoti immediati; quello che voglia leggerlo ed uscirne indenne, dovrà immunizzarsi con potenti vaccini. Ad entrambi prescriviamo:
Bertrand Russell, Introduzione alla filosofia della matematica, 1918.
Paolo Zellini, Breve storia dell'infinito, 1980 (Adelphi).
Rudy Rucker, La mente e l'infinito, 1982 (Muzzio, 1991).
Gabriele Lolli, Dagli insiemi ai numeri, 1994 (Bollati Boringhieri).
Parco archeologico: e il Porto di Longobardo
Bene,dopo l'infausta battuta e dichiarazione del collega Comes, che sicuramente non voleva essere denigratoria nei confronti dello stesso, che non conosco,ma che, tuttavia, l'inopportuna battuta, mi ha dato, in cross telefonato dalla fascia laterale africana di fare il punto di quello che pensano i maggiori scienziati italiani del centro di Erice e sul suo direttore che non gode come avete potuto leggere nel commento articolo di Odifreddi che precede questo commento.
Non è una novità che Zichichi ha fatto carriera universitaria solo perchè è amico stretto dell'Onorevole Andreotti.
E come non deve apparire strano che ci sono docenti universitari in Italia e in Sicilia che pur essendo dei mediocri, godendo di protezioni politiche: fanno carriera.
Mentre altri molto più capaci magari sono costretti a fare altre cose o a emigrare negli Stati Uniti o in altri paesi.
Non parlo di me stesso perchè sono un enorme ignorante e pertanto se c'è qualche cercellone locale che vuole speculare si ricordi che le sue battute peregrine non trovano nessun tipo di accoglienza: ne positiva,ne negativa.
Detto questo, carissimi amici che mi leggete, ma in verità, come ho scritto, non è che mi importi più di tanto del numero di lettori dei miei commenti.
Come ho detto e scritto in altre circostanze e come ha sintetizzato il webmaster di questo sito la mia partecipazione a questo portale nasce e si incrocia con l'avvento e l'evoluzione della comunicazione via internet e sono molti gli autori di bellissimi blog o siti di persone,(non sono una mosca bianca e questo mi conforta), che ha deciso e sopratutto trovato gusto e stimolo nella scrittura,nella composizione di pagine e nel mettere a disposizione di chiuque voglia attingere a delle informazioni sul territorio. Che trova facile riscontro,fortunatamente, anche in altri professioni e amici che sulla via modaiola e culturale del relativismo di Protagora hanno condiviso,con mio grande gioia, la condivisione della conoscenza del territorio,della sua storia, dei suoi beni culturali e qual'altro possa essere d'aiuto appoggio approfondimento alla conoscenza del territorio dove siamo nati e dove per scelta abbiamo deciso di non vivere più.
Detto questo, e fatta questa ennensima precisazione premessa: volgiamo lo sguardo a quella parte terminale di contrada Collo con partenza di punta della Cicogna che volge a ponente verso la Pizzuta, avendo di fronte l'isola di capo Passero,con la fortezza del Passerino che venne potenziata dopo il sopraluogo dell'ingegnere di Carlo V Camillo Camilliani.
Molte cose sono conosciute di questo posto e come al solito parecchie ce le racconta il buon Corrado Cernigliaro nel suo bellissimo ed importante libro su Portopalo che andrebbe,come ho già scritto, ristampato e messo nella condizione di diventare guida sicura e fondamentale per chiunque voglia conoscere ed approfondire la storia e gli insediamenti di questo territorio.
Detto questo, mi sembra fondamentale ed importante segnalare, insieme a tantissimi autori che nel tempo storico hanno fatto studi su questo territorio, che vanno: dal Cluvert al Ciancio, dal Baldacci all'Amico e dal Castellalfiere allo Spannocchi,s enza dimenticare l'arabo Idrisi e tutta la tradione classica dei geografi alla Strabene e compagnia accompagnando: un libretto che reputo di enorme importanza conoscita ed di approfondimento redatto dal Prof Alberto Magnaghi,che oltre a citarli tutti, documenta e si serve delle varie descrizioni di questi storici,geografi,viaggiatori e sroiici che si sono interessati di questo territorio. Il Magnaghi, manco a dirlo, è la storia dell'umanità che ce l'ho insegna, in aperta contrapposizione di tesi ed antitesi sui fenomeni di Bradisimo nell'area con il Prof. e studioso Revelli. Da questa pregevole ricostruzione storica mi preme, in questa sede, soffermarmi sulla esistenza antica, è segnata nelle carte, della presenza in loco di due porti: il porto di settentrione che è quello antistante l'antica tonnara di Collo-Cicogna con i relativi depositi e vasche di macerazione del garum ed altre produzione della salaggione delle parti di tonno che ebbero,in sito, posto ideale per l'insediamento in questa,manco a dirlo,( vedi Sergio che ti cito)stupenda ed unica plaga d'acque che si forma fra la terra ferma ed l'isola di Capo Passero.
Dagli studi effettuati e dalla ossevazioni riportate appare evidente che molto secoli fà l'isola doveva essere sicuramente(le carte lo dimostrano inequivocabilmente) legate alla terra ferma di una lingua di sabbia che per effetto dei marosi nel tempo ne hanno determinato la completa apertura e creazione di un canale e di un istimo sabbioso con la sabbia disposta a mezzaluna nel fondo del canale che ho attraversato a suo tempo a piedi, tranne l'ultimo tratto che invece di seguire fino in fondo ho preferito fare a nuoto per raggingere l'Isola. Eravammo io ed il mio carissimo amico Prof. Francesco Nobile, Conte della gentilezza, Principe dell'umiltà e Barone dell'amicizia giovanile, cioè da quando le sue cantine erano collegate direttamente con un vinodotto personale con la cucina parrochiale e una deviazione segreta nella stanza del mai dimenticato carissimo Padre e Paolino, Al quale CAVALIERE FRANCESCO, prima o poi gli devo fare battezzare mio figlio Lorenzo.(seondo voi è peccato che non è battezzato il bambino?)(apriamo un forum ^-^)
Riprendendo il discorso e messi piede nella terraferma!!
La cosa che mi ha sempre interessato ed ho ricercato,curiosamente come un delfino,ma non cretino) i collegamenti storici e l'approfondimento è la denominazione del secondo porto: detto di Longobardo. Come sappiamo i Longobardi si fermarono a Benevento città di illustre origini che rappresenta per questo popolo la testa di ponte ed insediamento più meridionale rispetto alla loro espansione nel stttentrione e nella Padania di Bossi( chissà quanto l'ha pagata).Se diamo un rapidissimo sguardo al presente, sulla denominazione della spiaggia della Kufar in Carratois potremmo anche cadere nell'inganno che anche allora qualche commerciante avveduto ed intelligente com'è avvenuto oggi è riuscito a cambiare in pochi anni e scolpirlo nell'immaginario collettivo e giornalistico locale e ad imporre praticamente una bufala campana a tutti i beati cittadini e visitatori, nonchè intellettuali che, senza colpo ferire si sono ammuccati la notizia: ecco perchè era importante Corrado Arangio storico,molto meno giornalista. Ma la cosa non mi lascia perplesso per la denominazione di origine del Porto di Longobardo è che al volgere a ponente dalla punta della Cicogna allo scoglio Maltese che chiosa a settentrione nella lingua di sabbia e dalle parti più basse dell'isola del Passerino: ne determinavano il porto denominato di Longobardo. E che, dunque, aveva attinenze e pertinenze architettoniche di bassa epoca che sono confermate nell'entroterra della presenza di una vera e propria cittadella, che ebbe probabilmente il suo massimo splendore,secondo il mio parere coeva alla cittadella di Vendicari di epoca bassa rilevata dal Paolo Orsi che unitamente alla Cittadella di Portoulisse e gli insediamneti di Cuba e di Burgio Rammaddini e di qualche insediamto sparso verso Bonivini: definivano in grande parte l'area di Respensa di epoca tardo bizantina.
Con l'isediamento, per circa tre secoli, degli arabi in Sicilia e con la successiva espansione Normanna e coeva al periodo Longobardo: assunsero impotanza notevole le città marinare ed in particolare Pisa ed altre città del mare. E in questa ottica che oggi bisogna ricercare quella antica denominazione di porto Longobardo. Dal prevalere sui mari,cioè, per un periodo limitato degli intensi traffici navali che questo popolo riusci ad instaurare in tutto il bacino meridionale e centrale del mediterraneo. Ed in parte a dominare, nel periodo di maggior lustro della sua dinastia e prevalenza nell'Italia settentrionale: sui mari della Sicilia e formando una testa di ponte per i suoi commerci con il Pachino Promontorio.
Cordiali Saluti,Spiros