PACHINO - L'ultimo sellaio racconta un mestiere che oggi non c'è più. «Ho sempre amato questo lavoro, io e la mia famiglia creiamo finimenti per cavalli da sempre». Don Giuseppe Scibilia, conosciuto a Pachino come «ziu Pippinu», è l'ultimo mastro sellaio della città. Entrando nella sua bottega si resta affascinati dai finimenti per i cavalli, dai frustini, da borse e cinture. Guardandosi intorno nella sua bottega si respirare un po' della storia della città; è possibile scovare tra gi scaffali oggetti ormai centenari, cose di un valore altissimo, specialmente per don Pippinu che, con amore e passione ogni tanto, ancora oggi si mette alla macchina di cucire per creare. Non vende i suoi lavori, ma li conserva gelosamente nella sua piccola bottega piena di ricordi. «Prima non c'erano macchine - racconta don Pippinu - l'unico mezzo di trasporto era il cavallo e io e la mia famiglia, per lavoro, creavamo i finimenti di quest'animale. Facevamo di tutto, dagli ornamenti per la testa alla sella. Il mio più che un lavoro è un arte che ci siamo tramandati di padre in figlio. I tempi sono cambiati, i cavalli non esistono più, per questo motivo i miei figli e i miei nipoti non hanno intrapreso questa carriera, io sono l'ultimo sellaio.
Ormai non faccio più finimenti, ogni tanto mi dedico ad aggiustare borse e cinture, amo vedere l'entusiasmo delle persone quando entrano nella mia bottega e io, mi fermo a rispondere a ogni loro curiosità. Nella bottega io conservo utensili antichi, centenari, alcuni mi sono stati regalati da altri artigiani però ormai nessuno è in grado di lavorare come si faceva una volta. Oggi è tutto più facile, la vita è diversa e fare il lavoro che facevo io non è certo una passeggiata. Io non ho nessun rimpianto, ho sempre lavorato con passione e dedizione, cercando di dare sempre il meglio di me creando sempre qualcosa di nuovo e bello». Don Pippunu ha fatto del suo lavoro un arte e della sua bottega una specie di museo dove conserva gelosamente tutti gli attrezzi del mestiere e tutti i ricordi della sua vita da mastro sellaio.
Silvestra Sorbera
Fonte:
LaSicilia.it il 03-09-2005 - Categoria:
Cronaca
Quando era a cavallo, la città?
Si qualche cavallo c'era,ma abbandovano,Muli,Asini e puledri.Qualcuno, per effetto della reicarnazione Vudoo, si è trasformato in "Passeggino", altri, più operativi si sono ricovertiti in Camion, trattori, motocoltivatori e lape. Poi,in seguito, venne introdotto la Lapina che veniva, e credo venga, ancora chiamata, "amorevolmente", "A lapuzza re scimuniti", termine e definizione che non ho mai condiviso per quella presenza di bassa cultura che mortifica l'ignaro guidatore,agricoltore,in genere,pensionato.
Ma parlare dei finimenti è parlare di una parzialità assoluta, e non dà lustro vero alla tradizione dei Paladini di Francia, dei draghi alati e degli elmi dorati dei personaggi che popolavano le tre sponde e le parti più importanti del "Carretto".
Con il "retone,sotto, e il fedele Fido,Bobby,bau bau,legato con una catenina abbastanza corta da non dare spazio di movimento, non fosse quello di non superare gli assi delle ruote.Lo Spinone o Cernieco dell'Etna o qualche canino d'incrocio bastardo, che pur non avendo la provenienza griffata, se saputo allevare e allenare: poteva superare i cani di razza con tanto di pedigree.
Cane,fedele amico dell'uomo, che, per sua natura,cerca la sottomissione come precipuo e assoluto carattere specifico del fedele, e quasi umano, animale.
Elà, cavaduzzu miu ciacianiddaru,"gagliardo st' espresso", che annuncia il suo imminente passaggio con il caratteristico suono delle "cianciane! che ornavano la criniera del bellissimo animale. Pennacchi a piume rosse e gialle, paraocchi e finimenti di pregio,specchietti e lustrini allegoricamente imbardato, "spagna", nervoso e grintoso per le strade del paese.
Sentendo nelle sue orecchie lo schioccare insolente della zotta che ordina l'andatura,mentre le mosche cavalline, dalle ali argentate, punzecchiano voracemente il bellissimo esemplare che a sua volta risponde al fastidioso insetto,con il mulinare sapiente della coda che le schiacchia momentaneamente.
Il passaggio del magnifico carretto imbardato, era la gioia di noi ragazzini.
E poi,prima del Camion, 42 Rosso,ultimo tipo: ma Nannu, Neria, aveva un cavallo superlativo,alto sui garretti e speranzoso di tragitti importanti fra il Burgio, Passo Corrado, e Bufalefi dove,ogni volta che si passava, c'era lo scontro con un tale pinnacciu di Rosolini che non voleva,non si sa per quale motivo, che da quella trazzera potesse passare alcuno.( N'un patruni i luocu antelitteram) Condotto dal più piccolo dei suoi figli, tale Vastiau, che ha mantenuto questo amorevole rapporto con questo splendido animale, da essere, in diverse occasioni, accarezzato dallo zoccolo duro dello stesso.
Pachino, vanta una grande tradizione di carrettieri,per effetto della storica e remota aree di produzione agraria che fin dall'età greco romana e poi mediovale venne chiamate terra di Respensa, che ancora oggi, a distanza di secoli: conferma la sua strategica posizione agraria e annonaria. Pachino intorno agli anni trenta e quaranta era direttamente collegata allo scalo di Augusta da una lunga teoria di carretti che trasportavano,di notte, derrate in quella città portuale d'imbarco.
E poi ancora, la trebbiatura con i cassoni pieni all'inverosimile di fasci di spighe che allora venivano,ancora da molti,prima delle trebbie, tagliati con la falce,senza martello.
O come anche la tradizione della vendemmia che vedeva impegnati i casseri dei carretti dalle Tine per il trasporto dell'uva ai palmenti che spesso erano ubicati all'interno dei centro urbano.Ma il momento topico per conoscere a fondo il mondo dei quadrupedi da trasporto: era la fucina del fabbro ferraio. I suoi particolari odori,la fuligine che attaccandosi ai muri completamente anneriti illustravano quasi una antro della grotta di Polifemo, per il fuoco da fabbro costantamente alimentato da tizzoni e spezzoni di carbone. E poi ancora il modellare il ferro, il battere sapiente del martello sull'incudine, i colpi calibrati ed esperi del mastro ferraio...din din din din per modellare un ferro lungo e dritto in un perfetto ferro da cavallo.....Come anche la posa del ferro( ferratura) che veniva preceduta dal sapiente lavoro di limatura dello zoccolo che surriscaldato emanava un distinto ed unico odore di bruciato....che conservo ed ho nella memoria.....Recentemente portandomi a passeggio per le vie di Firenze, in piazza della Signoria, dopo qualche anno che non lo sentivo mi è arrivato distinto e non confondibile il profumo di una cacca da cavallo...Non ci crederete, ma ho respirato a pieni polmoni quel benefico,per me, odore che mi ha rallegrato l'olfatto,ma sopratutto la mia ferrosa memoria.....
Cavallereschi saluti,Spiros