Quando la notizia diventa multimediale

Citizen journalism o giornalismo partecipativo: le nuove forme di giornalismo evolutosi sul web, grazie anche alla natura tipicamente interattiva della rete e alla possibilità di dialogo immediato, tra chi produce la notiza e che la consuma.

Sono graditi i pareri di chi fa dell'informazione un lavoro, e da chi si riconosce nella figura di "Citizen Journalist"

Saluti
Corrado Modica


... riprendo un interessante articolo pubblicato il 10-09-2006 su "La Repubblica"


di GIOVANNI VALENTINI

Sotto il titolo "Chi ha ucciso i giornali?", l'autorevole settimanale inglese The Economist ha pubblicato recentemente una cover story - ripresa e ripubblicata in Italia dall'Internazionale - che contiene alcune rivelazioni che non si possono certamente definire sensazionali. E offre, fra l'altro, qualche spunto di riflessione anche in ordine al confronto che spesso si usa fare fra la nostra stampa e quella anglosassone, per denigrare in genere la prima e magnificare la seconda.

Si scopre così che "tra tutti i vecchi mezzi di comunicazione, i giornali sono quelli che più hanno da perdere dalla crescita di Internet". O poco più avanti, che "negli ultimi anni la diffusione della rete ha accelerato il loro declino". O ancora, che "a rischiare di più sono i giornali che stanno nel mezzo: né per l'élite né popolari".

Qual è, allora, la profezia del settimanale inglese sul futuro della carta stampata? "Il giornale - si legge nello stesso numero - riuscirà a sopravvivere sul lungo periodo solo se saprà reinventarsi su Internet e sfruttare le opportunità offerte dai cellulari e da altri apparecchi elettronici portatili". A questo proposito, The Economist cita - bontà sua - il caso del nostro giornale, riferendo che "il sito web del quotidiano la Repubblica è visitato da circa 1 milione di persone al giorno, quasi il doppio delle copie vendute in edicola".

Ora è senz'altro vero che, fino a qualche anno fa, molti giornali si sono limitati a replicare sulla rete le loro edizioni cartacee, commettendo così un duplice errore: da una parte, hanno defraudato in qualche misura gli acquirenti delle copie in edicola; dall'altra, hanno in gran parte deluso le aspettative dei lettori on line. E quindi, ringraziando i colleghi inglesi per la menzione, si può dire che il successo di Repubblica. it - il sito più visitato oggi in Italia - dimostra la possibilità di integrare e diversificare nello stesso tempo i due prodotti, con una sinergia che sfrutta le rispettive caratteristiche: l'autorevolezza, la capacità di analisi, d'intervento e d'opinione del giornale di carta; l'immediatezza, l'interattività e quella che sia chiama ipertestualità del giornale elettronico, cioè la possibilità di mettere in rete links, approfondimenti, documenti integrali che altrimenti non sarebbero pubblicabili.

Ma, tornando al servizio dell'Economist e a Internet, il nocciolo del discorso è un altro. Smaltite tutte le illusioni e le euforie del Duemila, è chiaro ormai che la rete non costituisce una forma di editoria alternativa in concorrenza con quella cartacea tradizionale. È piuttosto un carrier, un trasportatore di contenuti prodotti da altri: giornali, agenzie, radio, tv e quant'altro. E sempre di più saranno i produttori di contenuti per la rete, perché la risorsa principale di Internet sta proprio nella multimedialità. Vale a dire nella capacità di usare, fondere, contaminare linguaggi e codici diversi: la parola scritta; l'immagine statica della fotografia o del disegno e quella dinamica del video o del cartoon; il sonoro della voce o della musica.

A questo s'accompagna poi l'interattività, la facoltà di comunicare in tempo reale fra chi produce la notizia e chi la riceve, con tutti gli effetti che ciò comporta sul piano della democrazia e del pluralismo. Da qui, il fenomeno crescente dei blogger che tengono i loro giornali-diario sulla rete o quello più recente dei citizen journalists, i giornalisti-cittadini, che producono anche loro notizie, armati magari di videofonino, macchine fotografiche o videocamere. Da qui anche l'informazione on demand, a richiesta, che consente a chiunque di sapere quello che vuole quando vuole, nei tempi, nei modi e nella misura che preferisce.

Non c'è, dunque, nessun killer dei giornali da ricercare. I giornali non sono affatto morti e verosimilmente non moriranno, se sapranno rinnovarsi e adeguarsi. Sopravvivranno certamente i quality papers, i giornali di qualità, capaci di interpretare, spiegare e approfondire gli eventi e di fare opinione. Sopravvivranno i giornali locali, di servizio, più vicini alle esigenze concrete e alle richieste quotidiane dei lettori. E soprattutto sopravvivranno i giornali che sapranno integrare le proprie funzioni con Internet, con le caratteristiche e le potenzialità della rete.

La storia dei mass media insegna del resto che nessun nuovo mezzo ha mai soppiantato quelli precedenti: non è accaduto per i giornali quando è stata inventata la radio, non è accaduto per la radio quando è arrivata la televisione, non accadrà neppure adesso con Internet. S'è già verificato in passato, invece, che ogni vecchio mezzo ha dovuto modificare la propria struttura e il proprio linguaggio in rapporto al nuovo concorrente che sopraggiungeva. La rete non ha ucciso e non ucciderà i giornali, né la radio né tantomeno la televisione, ma comunque impone a tutti i media di trasformarsi e rigenerarsi.


Link Correlati:

Giornalismo partecipativo
http://it.wikipedia.org/wiki/Giornalismo_partecipativo

Citizen journalism
http://en.wikipedia.org/wiki/Citizen_journalism

Blog
http://it.wikipedia.org/wiki/Blog
Fonte: Repubblica.it il 01-10-2006 - Categoria: Curiosità

Lascia il tuo commento
Cerca su PachinoGlobale.net