Cari amici Il 26 dicembre, alle 11,30, sarò al cinema Gozzo di Portopalo per partecipare ad un dibattito organizzato, in un modo un po’ bizzarro, dall’assessorato comunale alla cultura. Il titolo dell’iniziativa è “Quella notte di otto anni fa nel Mediterraneo...” Il sottotitolo è “Incontro-Dibattito sul Naufragio del Natale ’96, nell’ottavo anniversario della più grave tragedia nel Mediterraneo del II Dopoguerra” (lo riporto così come è scritto nella locandina che mi è stata inviata per e-mail, con queste preposizioni, queste maiuscole e questi numeri romani).
Comunico la notizia a voi, cari amici di “Marzamemi by night” perché voi, come cittadini di Pachino, avete avuto, senza saperlo, un certo ruolo in questa vicenda. Vi scrivo per spiegarvi perché e anche per ringraziarvi. Ci siamo conosciuti di recente, per la precisione l’11 di questo mese, proprio a Pachino, in occasione della presentazione del mio libro “I fantasmi di Portopalo” (Mondadori) e del passaggio della carovana nazionale antimafia. Per me è stata una giornata straordinaria, una giornata che non dimenticherò mai.
Non vi nascondo che quando sono arrivato ero un po’ teso. Sapevo delle polemiche e delle tensioni che la pubblicazione del mio libro ha suscitato a Portopalo; immaginavo che sarebbero emerse in occasione del dibattito. Ero teso, dunque, ma anche sostenuto dalla speranza di poter incontrare le persone che - con dichiarazioni sui giornali, in discorsi pubblici, e anche semplicemente nelle chiacchiere di paese - hanno tentato di accreditare la falsa idea che il mio libro abbia ‘offeso’ la comunità portopalese.
Speranza, purtroppo, delusa. Benché espressamente invitato dagli organizzatori, cioè dal circolo Iskra-Arci, il sindaco di Portopalo non ha partecipato al dibattito. Né l’ha fatto alcuno degli amministratori. E l’unico intervento critico nei confronti del mio lavoro è stato svolto in un modo così concitato e confuso che non mi ha aiuto a risolvere il problema principale: capire su cosa l’accusa di vilipendio a Portopalo si fondi.
Questo sarebbe stato sufficiente a chiudere la partita se non ci fosse un problema molto serio. Uno dei giocatori più importanti di questa partita ha dovuto, suo malgrado, abbandonare il campo. Mi riferisco a Salvo Lupo, il pescatore che mi ha aiutato nell’inchiesta sul cosiddetto “naufragio fantasma” e che ha avuto un ruolo decisivo nell’individuazione del relitto della barca maltese che ancora giace sul fondo sabbioso del Canale di Sicilia circondato dai resti delle 283 vittime del naufragio.
Infatti, come ricorderete, verso la metà dello scorso novembre, Salvo si è imbarcato su una petroliera dopo aver firmato un contratto di cinque mesi. L’ha fatto perché spera che la sua lontananza dal paese serva a svelenire il clima, a sopire le tensioni, a calmare le acque. Dunque quello di Salvo Lupo è stato un gesto di pacificazione.
Un gesto che gli costa caro in termini umani. Mai, prima di questa volta, era stato lontano dalla sua casa per tanto tempo, né gli era capitato di trascorrere il Natale lontano dalla moglie Maria e dai figli Vincenzo, Giusi e Adriano. E così l’aver verificato a Pachino l’inconsistenza delle accuse, anziché tranquillizzarmi ha accresciuto le mie preoccupazioni. Perché le tensioni più aspre possono essere risolte attraverso un confronto duro ma leale mentre, in assenza di confronto, anche una diceria priva di fondamento può sopravvivere e proliferare come una pianta infestante e velenosa.
Dunque, alla fine di quel dibattito, ho riconfermato d’essere pronto ad incontrare chiunque, a Portopalo o in qualunque altro luogo, abbia qualche motivo di risentimento che deriva dal contenuto del mio libro. Infatti (e anche questo attiene alle stranezze di questa sbalorditiva vicenda) benché il libro l’abbia scritto io e Salvo sia uno dei protagonisti della narrazione, il gruppo dei critici del libro e il gruppo di quelli che mettono Salvo Lupo sotto accusa in pratica coincidono.
Qualche giorno dopo, rientrato a Roma, ho avuto modo di leggere un articolo apparso nella cronaca di Pachino de “La Sicilia” domenica 12 dicembre, cioè il giorno dopo il dibattito. Alla fine dell’articolo c’era scritto che “data la disponibilità” manifestata dal sottoscritto “a recarsi a Portopalo”, il 26 dicembre, si sarebbe tenuto un incontro-dibattito al cine teatro Gozzo.
Comprenderete il mio stupore. Una dichiarazione di disponibilità al confronto era stata tradotta, senza informarmi, in un appuntamento preciso, tra l’altro fissato la mattina del giorno di Santo Stefano quando, com’è noto, ci sono alte probabilità che l’invitato abbia già da tempo assunto impegni familiari.
Ho avuto l’impressione (e immagino che concorderà con me chiunque ragioni serenamente sui fatti) che gli organizzatori dell’iniziativa avessero ben poco a cuore il desiderio di confrontarsi. Infatti, se l’avessero avuto, avrebbero avuto l’accortezza, e anche la buona creanza, di concordare una data comoda per tutti. E, francamente, il fatto che il 26 dicembre sia l’ottavo anniversario del naufragio non mi pare sufficiente a giustificare questo comportamento. Lo sarebbe stato, forse, se a Portopalo fossero state organizzate analoghe iniziative in occasione degli anniversari precedenti. Cosa che, invece, non è avvenuta.
Devo confessare di aver avuto, per qualche attimo, la tentazione di rispondere agli organizzatori (che, a dire il vero, non conoscevo nemmeno: l’articolo, infatti, non li indicava) di informarsi sulle regole che governano le relazioni tra le persone e di mandarli al diavolo. Ma, ripeto, è stato solo un attimo. Quella era, comunque, anche se così maldestramente proposta, un’occasione per - finalmente - parlare e confrontarsi alla luce del sole. Così ho preso contatto con la Mondadori e quando è arrivato l’invito (con un e-mail che mi è stato inoltrato dalla segreteria di redazione di ‘Repubblica’ e che ho visto solo la mattina del 17 dicembre) ho chiesto all’ufficio-eventi di trattare con gli organizzatori dell’iniziativa (l’assessorato comunale alla cultura attraverso il segretariato generale) le modalità della mia trasferta a Portopalo. Contemporaneamente ho informato i miei familiari che quest’anno le feste natalizie sarebbero stato molto brevi.
Non mi occupo mai degli aspetti organizzativi delle mie trasferte. Ieri mattina, martedì 21 dicembre, l’editore mi ha comunicato che tutto era stato definito. Una formalità. Avevo infatti deciso di partecipare in ogni caso al dibattito, anche a costo di organizzare autonomamente il viaggio (cosa che non avviene mai).
Dunque il 26 dicembre - salvo improvvisi scioperi degli aerei o catastrofi naturali d’altro genere - sarò a Portopalo dove spero di incontrarvi.
Quel sabato 11 dicembre, quando ci siamo conosciuti, è stata una giornata straordinaria non tanto per il dibattito che si è svolto la mattina sul mio libro, quanto per quello che è avvenuto nel pomeriggio. E’ stato commovente sfilare per le vie del paese assieme agli scout dell’Agesci, agli amici dell’Arci e a tutte le persone che, in modo composto e dignitoso, semplice e solenne, hanno voluto ricordare i 283 morti del Natale 1996 e tutte le vittime dell’immigrazione clandestina. E benché fossero assenti sia gli amministratori comunali, sia l’autorità religiosa, il corteo della carovana antimafia è riuscito a dare il senso d’un’unità d’intenti, d’un comune sentire: lo stesso della parte migliore di questo paese - intendo dire l’Italia - che Portopalo sintetizza nel bene e nel male, negli eroismi e nelle meschinità, nel coraggio e nella paura.
E’ il ricordo di quel giorno che mi fa sperare che, veramente, il 26 dicembre alle 11,30 nei locali del cinema Gozzo, possa cominciare una fase nuova. E che la parte migliore, e dunque maggioritaria, di Portopalo possa - come ha scritto Rino d'Alessandro su “La Sicilia” dell’11 novembre scorso - sentirsi vicina a Salvo Lupo.-
A tutti voi gli auguri più sinceri d’un Natale di pace
Giovanni Maria Bellu