Il Sangiovese del miliardario svizzero Ernesto Bertarelli. Le botti in rovere di Slavonia di Renzo Rosso. I vigneti siculi di Paolo Marzotto. Il gotha dell'imprenditoria italiana riscopre una produzione millenaria. Un po' per passione, un po' per marketing.
Comunque vada a finire questa Coppa America, se Ernesto Bertarelli correrà la prossima sfida, da detentore o sfidante, potrà varare la futura Alinghi con un vino di famiglia. Già, perché mentre lui è alle prese con scotte, salti di vento e rognosi consorzi americani, lo zio Claudio Tipa, fratello di sua madre, si è gettato con lo stesso entusiasmo in un'impresa che si prospetta altrettanto intrigante: produrre un grande vino. «Una passione di famiglia» spiega Tipa.
E chissà che assegno avrebbe staccato se invece che una passione quello per il vino fosse stato un vero business: per acquistare il castello di Colle Massari e 300 ettari di terra votata al Sangiovese, nella zona della doc di Montecucco, a Cinigiano, un tiro di schioppo da Montalcino, si dice che i Bertarelli (che inizialmente volevano comprare il Castello di Montepò, nel territorio del Morellino di Scansano, dagli eredi di Graham Greene) abbiano investito più di 50 miliardi di lire.
Quello della famiglia di Bertarelli è solo l'ultimo esempio dell'infatuazione vinaria che sembra aver colpito molti imprenditori, finanzieri e manager italiani. Una passione che di solito nasce per caso, dopo aver piantato la prima vigna quasi per scherzo.
Caso esemplare è quello di Ruggero Brunori, 44 anni, professione amministratore delegato dell'acciaieria bresciana Ferriera Valsabbia: anni fa investì in un'azienda agricola. Da buon bresciano pratico, la cercò vicino a casa e lavoro, a Picedo di Polpenazze del Garda, sulla sponda lombarda del Benaco. «Cominciai ad allevare vitelli. Così, per business. Poi mi accorsi che se non avessi usato gli estrogeni non sarei stato competitivo».
Brunori, che di strani intrugli non vuol sentir parlare, passò con successo dai magri bovini al sontuoso Cabernet Sauvignon. La zona, vicino alla Franciacorta, era piuttosto vocata per i rossi di pregio. Ora l'ex allevamento Cascina La Pertica produce Le Zalte, «un blend di Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot che ha preso tre bicchieri dal Gambero Rosso» spiega fiero Brunori. Ma l'avversione per la chimica lo ha segnato per sempre: la sua azienda segue i dettami della biodinamica, tanto che è stato assoldato un tecnico francese incaricato di proteggere i grappoli dall'insidia del marciume acido senza l'aiuto di anticrittogamici.
Altro rigoroso seguace dei ritmi di Madre Natura è Renzo Rosso, l'eccentrico patron del marchio Diesel. «È quasi un integralista» spiega il suo wine maker Roberto Cipresso. «Rispetta i cicli lunari ed è attentissimo alla scelta dei materiali, tanto che i legacci delle viti non li ha voluti in plastica ma in materiale vegetale, come quelli che usavano i contadini molti anni fa».Ma originalità e hi-tech, marchi di fabbrica delle creazioni Diesel, non sono stati messi al bando dal vino di Rosso: la cantina della Diesel Farm (sei ettari di vigneto a Marostica) da dove escono bottiglie di egocentrico Rosso di Rosso e Bianco di Rosso, è dotata di serbatoi automatizzati, pompe e degraspatrici di ultima generazione.
«Le Bmw degli attrezzi per la vinificazione» gongola Cipresso. Che svela alcune soluzioni originali ideate dal suo datore di lavoro, come l'assenza di etichetta (il nome del vino è impresso direttamente sul vetro con la tecnica della satinatura) e la scelta di stipare le sue bottiglie in casse in legno simili a quelle per le munizioni della Seconda guerra mondiale. Il vino di Rosso, ovviamente, è considerato una bomba.
Oltre a provincia senese, Franciacorta e Veneto è la Sicilia la regione al centro delle mire della nuova falange di cresi vignaioli. A Pantelleria è arrivato un francese per produrre il dolce Passito locale. Non uno qualunque, ma Gérard Depardieu, che sulla carta d'identità, alla voce professione, non ha scritto «attore» ma «produttore vinicolo». Tra gli italiani l'imprenditore tessile Paolo Marzotto, già titolare dell'azienda vinicola veneta Santa Margherita, si è tolto uno sfizio personale acquistando sull'isola 30 ettari di terra a Pachino, culla del Nero d'Avola.
La stessa scelta l'hanno fatta il toscano Antonio Moretti, titolare del marchio Carshoe, e il siciliano Giuseppe Benanti, proprietario della Sifi, azienda italiana leader nei prodotti per l'oftalmologia. Benanti, il cui padre aveva abbandonato la campagna «per non sporcarsi più le scarpe» e fondare la casa specializzata in colliri e lenti intraoculari, è uno dei pionieri del vino siciliano di qualità. Stufo di sorbirsi vinelli siciliani anonimi si applicò nel vino con la stessa determinazione che aveva fatto la fortuna della sua azienda. «Ho condotto 150 esperimenti di vinificazione e con l'aiuto dell'enologo Salvatore Foti ho riscoperto i vitigni autoctoni dell'Etna».
Nel 1991 la prima produzione. Adesso ha vigne nei cinque poli produttivi del vulcano e il Banco di Sicilia emette futures sul suo elisir più prezioso, il Serra della Contessa, spesso usato dal Quirinale in cene ufficiali. Ora a Giuseppe Benanti non resta che una missione da portare a termine: «Rinverdire il Moscato di Noto». Tanta improvvisa passione stupisce. Il primo vino non fa in tempo a essere imbottigliato che ci si ritrova invasati. Il conte Aldo Maria Brachetti Peretti, petroliere proprietario dell'Api, per produrre il suo vino a Tolentino si è affidato alla consulenza di un mostro sacro dell'enologia: Giacomo Tachis.
E la sua passione dev'essere davvero sincera se è vero che per festeggiare i suoi 70 anni, pochi giorni fa, i suoi figli gli hanno regalato un «libro di cantina» dove annotare i vari assaggi. I più disincantati, come al solito, sono i toscani come il già citato Antonio Moretti, socio di Patrizio Bertelli, altro pretendente all'America's Cup innamorato del vino: «Io e Patrizio siamo amici fin da ragazzi, quando bevevamo i vinelli del contadino» racconta. «Bertelli non lo fa» spiega «ma glielo mando io, insieme a polli valdarnesi e piccioni. Gli piace il Vigna di Pallino, un Sangiovese prodotto col sistema toscano, senza affinamento in barrique.
«Nel 2001 ho fatto 5 mila bottiglie, 3 mila delle quali sono state mandate al team di Luna Rossa». Moretti ha diverse aziende vinicole, sparse tra Toscana e Sicilia e si avvale di due grandi enologi come Carlo Ferrini e Gioia Cresti. Loro fanno gli assembramenti delle varie vigne, ma sulle combinazioni da fare per il risultato finale non ci sono santi. Alla fine, decide sempre il Moretti.
Fonte:
Panorama On Line il 31-10-2002 - Categoria:
Cronaca