LA TRAGEDIA DI PORTOPALO. Parlano i superstiti. Il bilancio si aggrava: le vittime diventano nove
«Morivano e li buttavamo in acqua, morivano e li buttavamo in acqua.
Cos’altro potevamo fare?» Detto in inglese può sembrare meno drammatico, ma il gesto di Fashay fuga ogni dubbio. Muove le braccia come per prendere un corpo e liberarsene. Tra quei cadaveri c’erano persone che non aveva mai visto fino a quando in un porto della Libia si è imbarcato su quella maledetta carretta, ma c’erano anche alcuni amici suoi. Fashay ha 34 anni, ma ne dimostra almeno una dozzina in più. Da due giorni è ricoverato nel reparto di chirurgia cardiovascolare (è li gli hanno trovato un letto) dell’ospedale Umberto. A lui è andata bene: i dieci giorni in mare senza cibo ne acqua gli hanno causato una "disidratazione marcata", ma ce la farà. È morto invece, la scorsa notte, un ragazzo eritreo. Arresto cardiocircolatorio.
Le sue condizioni avevano destato parecchia preoccupazione tra i medici che lo avevano soccorso appena sbarcato. «Siamo stati per mare molti giorni - ha detto Yup di 26 anni -, non ricordo nemmeno quanto, forse un paio di settimane». «Dieci giorni», lo interrompe Fashay esordendo con una parola che suona come un «macchè». «A bordo - riprende Yup - non avevamo nulla. Siamo partiti venti giorni fa dall’Eritrea e dieci giorni fa dalla Libia. Gli ultimi giorni sono stati terribili».
«Pensavamo di morire tutti - dice Amusum di 21 anni -. Non avevamo
cibo ne acqua. Dopo pochi giorni di navigazione abbiamo perso la rotta. Abbiamo navigato verso est, poi verso ovest, non sapevamo cosa fare. Fino a quando abbiamo visto quella nave ed abbiamo capito che eravamo in salvo». Dalla Libia sarebbero partiti una decina di giorni fa, ma secondo quanto dichiarato da alcuni dei sopravvissuti
il loro arrivo nel paese di Gheddafi risalirebbe ad alcuni mesi fa. «Si
arriva in Libia - avrebbero spigato - e lì si resta in attesa di un posto su una carretta in partenza». Il viaggio sarebbe costato 1100 dollari.
Un viaggio in terza classe, con l’acqua che è finita un attimo dopo la
partenza e niente cibo. Nelle corsie dell’Umberto I sono ricoverati
in otto. Tutti per disidratazione, uno anche per una lombosciatalgia.
«Probabilmente - ha spiegato il responsabile del pronto soccorso Elino
Attardi - a cauda della postura che ha avuto nella barca nel corso della traversata. Comunque stanno tutti abbastanza bene». «Addosso - spiega un inserviente dell’ospedale - hanno ancora gli abiti usati per la traversata. Sono senza biancheria e senza scarpe, hanno bisogno
di tutto».
M.L.
Fonte: LaSicilia.it il 04-09-2006 - Categoria: Cronaca