Non decolla il processo a carico dei due principali responsabili del tragico naufragio della vigilia di Natale del 1996. Così come era avvenuto lo scorso 21 ottobre, anche nella seconda udienza del processo fissato davanti ai giudici della Corte d'Assise (presidente, Romualdo Benanti; a latere, Giuseppe Artino Innaria) si è registrato il nulla di fatto. Tutto a causa della lentezza con cui viene mandata avanti la pratica di estradizione per far rientrare in Italia il comandante della motonave «Yohan» Youssef El Hallal, 45 ani, che si trova attualmente detenuto in un carcere francese. Stando alle informazioni raccolte tra gli addetti ai lavori, dalla Procura Generale di Catania non è stata ancora inviata la richiesta di estradizione con annessa documentazione alle autorità giudiziarie francesi le quali, peraltro, come conferma l'avvocato Francesco Comi, difensore del comandante della «Yohan», «hanno quaranta giorni di tempo per decidere in un senso o nell'altro, cioè a dire se accoglierla oppure no». La Corte, però, nutrendo la speranza di riuscire a ricevere la tanto auspicata decisione di estradizione in tempi più ravvicinati rispetti a quelli ipotizzati dal difensore di Youssef El Hallal, ha già fissato un terzo appuntamento per dare l'avvio al dibattimento. Incrociando le dita, i giudici della Corte d'Assise hanno scelto la data del 19 dicembre per consentire al Pubblico Ministero Paola Vallario di poter illustrare la propria relazione introduttiva sui fatti di causa. Nell'attesa della nuova udienza, i giudici hanno già posto fine al rebus legato alla regolarità della citazione del pachistano Ahmed Sheik Turab. Sciogliendo la riserva sulla eccezione preliminare sollevata dall'avvocato Giuseppe Cristiano, i giudici della Corte hanno detto che la notifica del decreto di rinvio a giudizio del suo assistito, appunto del pachistano naturalizzato maltese, è avvenuta secondo quanto stabilisce la legge italiana.
Nella ordinanza letta in aula, i giudici hanno infatti ricordato che al momento della sua scarcerazione, avvenuta lo scorso 10 luglio, l'ufficio matricola del carcere di Cavadonna aveva chiesto a Turab di indicare il suo domicilio dove fargli notificare tutte le comunicazioni giudiziarie che lo riguardavano in relazione ai fatti per i quali era stato estradato da Malta. Turab aveva detto di risiedere a Sliema, nell'isola di Malta, e aveva espressamente fissato in quella città il suo domicilio. Per le sue indicazioni, peraltro sottoscritte di proprio pugno, il Gup Monica Marchionni gli aveva fatto notificare il decreto di rinvio a giudizio, a mezzo del servizio postale. Ma quando il portalettere maltese si recò nella sua abitazione di Sliema non fu messo nelle condizioni di consegnargli l'atto giudiziario, perchè Turab non fu trovato in casa. Con eccesso di zelo, anzi, il portalettere, scrisse sulla cartolina la parola «partì», come a voler dire che in quella località e in quella casa non c'erano più tracce del pachistano.
Per i giudici la notifica è avvenuta in maniera regolare e di conseguenza hanno rigettato l'eccezione dell'avvocato Giuseppe Cristiano, tesa ad ottenere la nullità del decreto di rinvio a giudizio. Peraltro, i giudici hanno precisato nella loro ordinanza «non avendo l'imputato dato alcuna notizia del mutamento di domicilio la notifica è avvenuta successivamente con la consegna del decreto di rinvio a giudizio nelle mani del suo difensore». Infine, chiudendo il caso, la Corte ha ulteriormente precisato riguardo alle eccezioni sollevate dall'avvocato Giuseppe Cristiano sulla posizione di Ahmed Sheik Turab: «non ha rilievo che le autorità maltesi non abbiano osservato le modalità previste dalla legge italiana per la notifica di atti giudiziari a mezzo posta». A questo punto resta in sospeso la posizione del comandante. Ma per lui tutto dipenderà dalla celerità delle procedure di estradizione.
Pino Guastella
Fonte:
LaSicilia.it il 19-11-2003 - Categoria:
Cronaca