La leggenda dell'incontro di Ulisse con Polifemo, che è una chiara metafora della superiorità dell'intelligenza sulla violenza e la cecità dell'uomo, ha la sua esaltazione letteraria nella "Odissea".
Il poema omerico scritto circa sette secoli prima della nascita di Cristo, con ogni probabilità riprese leggende che già si tramandavano popolarmente da epoche precedenti e che tutt'oggi si possono considerare di grande attualità.
Ulisse, nel suo pellegrinaggio lungo il Mediterraneo per tornare nell'isola di Itaca dopo l'assedio di Troia, approda in un'isola, la "Terra dei Ciclopi", dove chiede ospitalità al gigantesco e selvaggio Polifemo. Il ciclope, però, gli uccide alcuni compagni e li divora. Per salvarsi, Ulisse fa ubriacare di vino il rozzo gigante, gli acceca l'unico occhio e così può tornare ad imbarcarsi. Inutilmente il ciclope accecato tenterà di colpirlo lanciandogli come massi le cime di alcuni monti identificate dalla leggenda nei "Faraglioni di Acitrezza".
...Le navi raggiungono un gruppo di isole fertili, nelle quali c'è abbondanza di acqua dolce, si vedono molte capre selvatiche, ma non abita un solo essere umano. Vedendo a una certa distanza un'isola più importante, Ulisse decide di raggiungerla. A tale scopo si imbarca con dodici uomini e si porta dietro un otre pieno di vino di Ismaro, un vino tanto forte quanto dolce. Quell'isola è ricca di prati lussureggianti su cui pascolano grassi armenti. In una caverna gli uomini scoprono alcuni recinti tenuti in maniera perfetta nei quali sono racchiuse delle pecore. Lungo i muri s'allineano scansie piene di formaggi. I marinai si sentono a disagio, vorrebbero prendere qualche forma di formaggio e andarsene. Ma Ulisse è curioso di vedere chi sia il pastore di quegli armenti. Perciò si nascondono tutti nella caverna e nell'attesa si nutrono di un agnello trovato in un vicino recinto. Scesa la sera, Ulisse e i suoi uomini vedono entrare nella caverna un gigante, con un solo occhio in mezzo alla fronte, che spinge davanti a se un gregge di pecore e porta sulle spalle pesanti tronchi di pino. È un ciclope. Egli chiude la caverna con un macigno enorme e accende un fuoco. Le fiamme illuminano Ulisse e i suoi compagni. L'eroe cerca di rispondere con calma alle domande del ciclope, perché è consapevole del pericolo che corre. Invoca Zeus, dio dei viaggiatori e protettore degli stranieri, e ricorda al ciclope le leggi dell'ospitalità. Senza parlare del resto della sua flotta, racconta al gigante che la loro nave è stata fatta in pezzi da Poseidone.
Il ciclope ascolta Ulisse e gli dichiara di infischiarsene di Zeus e degli dei. Ciò detto, afferra un marinaio in ciascuna mano e, mentre gli altri lo guardano inorriditi, spacca loro il cervello contro il muro e li divora uno dopo l'altro. Nel corso della notte Ulisse è tentato di uccidere con un colpo di spada il gigante addormentato. Ma in tal caso lui e i suoi amici si troverebbero rinchiusi per sempre nella caverna, perché non sono in grado di spostare il macigno che blocca l'entrata. La mattina dopo, il ciclope divora altri due marinai, poi esce dal suo antro per portare gli animali al pascolo, rimettendo a posto con cura il macigno che blocca l'ingresso. Durante la sua assenza, Ulisse escogita un audace piano di evasione.
Il ciclope ha lasciato nella caverna un enorme tronco d'olivo. L'eroe e i suoi compagni lo appuntiscono, e quando la sua punta è ben aguzza la induriscono nelle braci del fuoco che cova sotto la cenere. Al calar del sole il ciclope ritorna e divora altri due uomini. Ulisse gli si avvicina con una ciotola di vino di Ismaro. Il gigante lo assaggia, poi lo tracanna golosamente e ne reclama dell'altro. Quindi chiede a Ulisse quale sia il suo nome per poterlo ringraziare degnamente per quel vino delizioso. Offrendogliene un'altra ciotola, Ulisse gli dice di chiamarsi Nessuno. Con la mente già annebbiata dal vino, il ciclope dichiara che ricompenserà Nessuno divorandolo per ultimo. Poi cade a terra. Ulisse e i suoi amici rendono allora incandescente la punta del tronco, quindi la conficcano violentemente nell'unico occhio del ciclope.
Le urla di dolore del gigante fanno tremare le pareti della caverna. Ulisse e i suoi compagni si rifugiano tremanti lontano dal mostro accecato, chiedendosi in che modo questi reagirà. Alle sue grida, gli altri ciclopi che vivono nei dintorni accorrono e chiedono a Polifemo - di cui Ulisse viene così a conoscere il nome - per quale ragione turbi quella notte tranquilla. Con voce rotta Polifemo risponde che Nessuno voleva ucciderlo. I ciclopi ribattono che se nessuno gli ha fatto del male, saranno stati certamente gli dei a punirlo, e in tal caso loro non possono far niente per aiutarlo. All'alba Polifemo apre l'entrata della caverna per portare il suo gregge al pascolo. Ulisse e i suo compagni riescono ad aggrapparsi così bene sotto il ventre delle pecore, che le mani del gigante cieco, che tastano il dorso degli animali via via che questi escono dalla caverna, non riescono a scoprirne la presenza. Una volta al sicuro a bordo della sua nave, Ulisse chiama con alte grida il ciclope e gli rivela il suo vero nome. Basandosi sulla direzione da cui arriva la voce, Polifemo gli lancia addosso enormi macigni e manca di poco la nave. Allora lancia a Ulisse un solenne avvertimento: poiché i ciclopi sono figli di Poseidone, il dio del mare sentirà il lamento di Polifemo. Il mare sarà eternamente nemico di Ulisse...
Fonte:
Omero il 16-03-2003 - Categoria:
Attualità