[... riporto integralmente nella sezione news il commento del Dott. Nello Lupo alla news:
Ah, se Campisi imparasse da Sergio Monaco !!!]
Le notizie riportate dai quotidiani locali: l’espulsione del sindaco Campisi dall’aula consiliare e le “Accuse e i veleni…” susseguenti, impongono a ogni buon pachinese che ama realmente la sua terra, un momento di riflessione attenta e oggettiva.
Siamo in presenza di accadimenti unici nella storia della politica non solo locale: chi ricorda di un sindaco espulso e allontanato coattivamente dall’aula consiliare?
È scontro istituzionale?
Una lettura politica decontestualizzata porterebbe certamente alla più che logica conclusione che trattasi dello scontro tra due istituzioni forti: la presidenza del C.C. e il sindaco del comune.
Ahimè! gli accadimenti vanno letti e interpretati in ben altra dimensione. Non è politica ma “teatrino delle mediocrità”. Ci vien voglia, infatti, di parafrasare un detto di John Stuart Mill, secondo il quale “la cruda verità è questa: ............................; la tendenza generale in tutta [Pachino] è quella di assegnare il predominio alla mediocrità”.
Lo sostengono d’altronde lor signori, cioè i politici locali. Non passa giorno, infatti, che questa mediocrità non venga puntualmente riconosciuta e riportata come connotato fondamentale e peculiare della parte politica avversa. In buona sostanza: gli incapaci, i corrotti, gli insipienti, gli illegittimi, i ladri, stanno sempre nell’”orto del vicino”. Il proprio “personale e politico” brilla invece di “genio”, di “superiorità morale, intellettuale e politica”, di “capacità amministrativa”, di “interesse pubblico e bene comune”, di “eticità”.
Latita, a ben vedere (ma da ben tre lustri), il dibattito attorno ai problemi reali del paese. Assistiamo per converso (è sempre da tre lustri) a un a sciagurata riduzione della lotta politica a scontro personale per mero carrierismo. Non possiamo comunque comprendere l’oggi, se non rivisitando il passato, sia pure prossimo. V’è un periodo della nostra recente storia politico-amministrativa che gode del carattere di omogeneità ed è in grado di spiegarci razionalmente l’oggi. Un oggi che sfugge a qualsiasi analisi politologica, e che invece va interpretata (come cercherò di dimostrare con i fatti) nella più che corretta dimensione della patologia di sistema.
Gli anni 1993-98 furono gli anni dello scontro tra il sindaco di allora M. Preziosi e il Consiglio Comunale, la cui maggioranza fu a lui avversa. Cosa resta nella memoria di quegli anni?: il referendum consultivo per la rimozione del sindaco (primo firmatario il Gruppo Consiliare di Rinascita, di cui era componente l’attuale presidente del C.C.), lo scontro istituzionale tra il sindaco e l’allora Segretario Generale del Comune con il suo epilogo tragico, lo scontro istituzionale tra il sindaco e il Presidente del C.C. che accuse reciprocamente infamanti, in ultimo il giudizio che di quegli anni diede lo stesso Preziosi: “…una tragedia…”. Carmelo Latino (vice-sindaco Mauro Adamo leader di Rinascita), dovette subito fare i conti con la crisi (corsi e ricorsi?) all’Ufficio Tecnico Comunale.
Rimosse l’assessore Paolo Bonaiuto, e concluse la sua sindacatura, ad appena un anno dalla sua elezione, con una nuova richiesta di rimozione e le immediate dimissioni. Degli anni successivi, 1999-2001, preferiamo non parlare. È troppo vivo il ricordo del dramma con cui si concluse, per poterci permettere una disamina politica, che viceversa va interamente affidata alla sua sede più naturale, che è quella storiografica, ma che richiede tempi di opportuna sedimentazione.
A ben vedere il periodo che sembra aver garantito la massima stabilità fu la sindacatura Barone. Proposto sempre da Rinascita che, dal dopo Adamo, non riesce a trovare un leader carismatico in grado di guidare oltre il movimento anche il paese, Barone durò ben cinque anni. Cosa resta di quegli anni? Se qualcuna sa, ci ricordi una sola opera pubblica iniziata o portata a compimento. Nell’immaginario collettivo, è vivo il ricordo dei deliri paranoici con cui ogni singolo consigliere reclamava a “sé” una rappresentanza assessoriale (ben 51 cambi assessoriali).
Ma noi preferiamo, più che le interpretazioni far parlare i fatti. Così scrivevano il Movimento Rinascita di Pachino: “…La città chiede di poter riavere la parola e che venga messo fine allo sfascio politico ed amministrativo imperante……” (cfr sito web di Rinascita) e lo stesso presidente del C. C. Salvatore Blundo: “…Mai nella storia politica e amministrativa cittadina si era arrivati così in basso……in questi primi quattro anni di mandato non ha prodotto nulla se non ulteriori guasti cha alla fine peseranno sulle tasche dei pachinesi costretti ad assistere impotenti alla elargizione di incarichi esterni ben remunerati e a un continuo sperpero di denaro pubblico” (cfr. Giornale di Sicilia del 20 gennaio 2005, pag. 30).
Come ben si sa, Barone cade con mozione di sfiducia proposta dal gruppo consiliare del Movimento Rinascita di Pachino e votata da ben 14 consiglieri su 20 il 18 novembre 2005. Segue una lunga fase di commissariamento. Il resto è l’oggi, la crisi, ad appena un anno, della sindacatura di Peppe Campisi. Iniziata formalmente con l’ennesima fuoruscita dalla maggioranza del Gruppo Consiliare di Rinascita, proseguita con la mozione di sfiducia bocciata dal C.C., si alimenta di “accuse e veleni”, sui quali val la pena di esercitare un minimo di riflessione.
Una riflessione che è principalmente di natura etico-politica, che però richiede una chiarificazione preliminare sul concetto di etica. La nostra visione dell’etica rifugge dal delirio paranoico dell’erotomania e della mistica-riformista, tipico di sette e movimenti politico-religiosi, che si autoalimenta della “presunzione” di voler dettare norme generali comportamentali e di condotta, per meglio costruire improbabili e impossibili Città etiche.
La nostra è semplicemente un’etica della riflessione, che si alimenta del confronto dialettico e del tentativo di chiarificazione, ma che in ultima istanza riconosce all’individuo, divenuto persona nel riconoscimento del valore dell’alterità, la piena autonomia di giudizio e di condotta (qualcuno farebbe bene a leggersi interamente il saggio di John Stuart Mill LA LIBERTÀ).
In questo contesto di pieno rispetto della doxa altrui, sentiamo di dover avanzare una nota chiarificatrice sul concetto di “conflitto di interessi”, che sembra essere alla base del disastro politico di questi quindici anni.
Non basta, infatti, evidenziare che il conflitto è risolto nel momento in cui, essendo in gioco interessi di soggetti direttamente legati ad amministratori (sindaco, assessori, consiglieri, funzionari), questi si astengono dai relativi atti. L’eticità dei comportamenti non è casualmente dipendente dalla legittimità dell’atto né dall’esclusione di motivi di rilevanza penale, cosicché la semplice legittimità ne sancirebbe l’eticità.
Noi tutti sappiamo che in realtà non è così, che esistono nel campo politico condotte e comportamenti che, pur legittimi, sono tuttavia censurabili (in primis dalla propria coscienza) in quanto ad eticità.
Traiamo degli esempi proprio dal dibattito in corso. Perché l’affidamento di un incarico professionale a un mio diretto congiunto, l’affidamento di un appalto a ditta direttamente a me collegata, e via di seguito, la nomina a dirigente di tecnostruttura ad un mio diretto congiunto, la nomina in un Ente di un compagno di cordata, non siano censurabili sul piano etico, necessitano di precisi requisiti. Nel caso in specie: che la mia attività politica sia nei fatti orientata all’interesse pubblico, che la mia condotta politica (e i miei voti in C.C.) non interferiscano con le decisioni di altri amministratori, che non si leda il diritto di altri soggetti legittimati al pieno dispiegamento della propria personalità (altri professionisti, altre imprese, altri funzionari), che si scelgano rappresentanti in base alle loro professionalità (e non ad esempio un perito agrario amico al Consiglio di Filosofia e un professore di filosofia ai rifiuti solidi urbani.).
Riassumendo queste condizioni in una, si può affermare che l’eticità di un comportamento nel campo politico-amministrativo è assicurata tutte le volte che l’esercizio concreto della discrezionalità nelle scelte della P.A. è esercitato nel pieno rispetto dei criteri di oggettività e imparzialità, del diritto di tutti i soggetti a medesime condizioni di partenza sì da non ledere l’inalienabile libertà alla crescita professionale, cui consegue una crescita anche collettiva e sociale. Ora, proprio rileggendo le scelte amministrative di questi tre lustri, anche dall’ottica delle lotte intestine che ne sono scaturite, è evidente che proprio questo requisito è venuto a mancare.
I contenuti delle reciproche accuse sono principalmente l’incapacità a governare la cosa pubblica e il prevalere di interessi personali e di gruppo al posto di quelli collettivi: nomine in importanti posti dirigenziali dei propri amici funzionari, affidamento di incarichi professionali a professionisti amici, parenti e congiunti, (sempre gli stessi), lesione della legittima aspirazione dei tanti altri a partecipare alla gestione della cosa pubblica, presunti o veri abusi del proprio potere interno di amministratore per procurarsi privilegi che ad altri comuni cittadini non consentiti, nomine di rappresentanti in Enti e Società in dispregio ai requisiti di professionalità, presunti collegamenti con ditte e imprese per la realizzazione di onerosi progetti, contributi a società e gruppi di volontariato facenti parte del proprio elettorato, e chi più ne ha più ne metta.
Dunque un quadro politico-amministrativo a tinte fosche (semplice eufemismo), quale emerge dalle stesse posizioni degli attori di ieri e di oggi: i politici che hanno governato (si fa per dire) questi tre lustri. La spiegazione che circola, come al solito sotto gli alberi di Piazza V. Emanuele, intende avvalorare l’ipotesi che la crisi quindicinale di questo paese sia dovuta alle caratteristiche personologiche inadeguate dei sindaci che si sono succeduti in questi anni. Da ciò la necessità di mandarli tutti a casa ad appena un anno dalla loro elezione.
La spiegazione non regge perché è contraddetta dai fatti.
Siamo in presenza di una crisi di sistema, in particolare dei suoi meccanismi di selezione delle rappresentanze politiche e della sua classe dirigente, che è diretta figlia della crisi del sistema politico imperniato sui partiti politici, come veicolo non solo di consenso ma anche di appartenenza e di formazione. Una crisi quella del sistema politico-sociale pachinese, che ha prodotto da ben tre lustri, una classe politica isterica e paranoica, autoreferenziale e tutta protesa all’affermazione di sé. Una classe politica, senza alcun apprendistato alla fucina di formazione che furono i partiti politici della prima repubblica, perennemente alla ricerca di problematici equilibri e di un precario adattamento. Perennemente i crisi, per via dei suoi stessi vincoli epistemici, che sono rigidi, idiosincratici e ripetitivi, questa classe politica non sa gestire i conflitti che inevitabilmente l’attività politica attiva.
Sempre alla ricerca inconscia di meccanismi di autodifesa, principalmente di auto-inganno (io sono bravo e preparato), di proiezione (non io, gli altri sono ladri, insipienti, corrotti, incapaci), di personalizzazione (non la pensa come me è contro di me), ha portato il sistema al collasso, cristallizzandolo in pattern relazionali e comunicativi patologici e disfunzionali, all’interno di una ricorsività patologica che tende ad autoalimentarsi e impedisce in tal guisa al sistema di evolvere positivamente.
Si vogliono degli esempi di questa involuzione?
Pachino è, a nostro modesto parere, congiuntamente al turismo netino, il polo economico della zona sud della provincia. Quanti camion settimanalmente partono dai luoghi di produzioni per i mercati nazionali ed internazionali (700, 800 ?). Bene Pachino è l’unico dei quattro paesi della zona sud ad essere rimasto sprovvisto dello svincolo autostradale. È questione di vecchio campanilismo? No è questione infrastrutturale, necessaria e indispensabile allo sviluppo economico della zona.
Ancora un altro esempio. Che fine ha fatto il turismo? La dinamicità della società civile pachinese andava coordinata da una attività di programmazione dello sviluppo turistico, capace di inserire Pachino nel circuito turistico netino. Ma davvero dobbiamo rassegnarci a perdere siti di straordinaria bellezza culturale ed archeologica, quali sono la Necropoli di contrada Cugni, la Grotta di Calafarina, la Grotta Corruggi, l’Acquedotto greco-romano, la stessa Borgata di Marzamemi?
Bene allora ha fatto Turi Borgh (ricordiamolo già assessore di Peppe Campisi) a chiedere al sindaco un atto di responsabilità, sull’esempio del dimissionario sindaco di Carlentini Monaco. Ma l’invito che ci sentiamo di rivolgere a Turi Borgh è di estendere la richiesta di dimissioni a tutta la classe politica attuale, responsabile dello sfascio politico, amministrativo, sociale e civile cui ha condotto Pachino.
Magari lo faccia in modo simpatico e allegro e non con il solito incomprensibile politichese. Gli suggeriamo di rivolgersi ai suoi colleghi politici, magari parafrasando la ben nota poesia del noto e non dimenticato Nuzzo Neri: “tutti a zappare”. Ovviamente conservando la consapevolezza dell’importanza di questo importante lavoro che richiede oggi più di ieri, personalità, capacità di sacrificio, abnegazione e competenza, qualità queste sconosciute ai politici nostrani.
Con la concreta speranza che questo mio scritto (purtroppo doverosamente lungo) possa innescare una circolarità virtuosa, tornando privilegiare i contenuti sulla demonizzazione dell’avversario, i temi dello sviluppo piuttosto che le beghe personali.
invio
cordiali Saluti
Dott. Nello Lupo