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Di Carlo Ruta.
Da Pachino a Camarina
Note tratte da De rebus siculis decades dua
di Tommaso Fazello
Voltosi alla vita religiosa fra i Padri Predicatori di Palermo, Tommaso Fazello (Sciacca nel 1498, Palermo 1570) si dedica sin da giovane agli studi storici sull'isola, sollecitato dall'amico romano Paolo Giovio. E a coronamento delle sue ricerche, nel 1558 dà alle stampe presso la tipografia Maida di Palermo l'unica sua opera, De rebus siculis decades dua, di cui uscirà nel 1574, a Venezia, la traduzione italiana a cura di Remigio Fiorentino. Fazello equivoca sui siti di alcune città antiche, e come richiede l'epoca, si associa al racconto biblico che computa in quattro millenni e mezzo l'età del mondo. Ma si reca nei luoghi di persona. Ed è l'aspetto itinerante a rendere la prima decade un classico. Non è un caso che al monaco saccense facciano riferimento gran parte dei viaggiatori nordeuropei che giungono in Sicilia nel secolo dei lumi. Fazello non trascura la plaga del sud-est, inaugurando anzi il moderno interesse per Camarina, dove si reca due volte, constatandovi prima una discreta quantità di resti, e poi la predazione dei medesimi, serviti per fortificare la città di Terranova. Viene qui presentato un brano della prima decade, nella versione di Remigio Fiorentino, ristampata a Palermo nel 1817, presso la tipografia di Giuseppe Assenzio.
Dal Libro I capitolo V
[…] Dopo Lungarina mezzo miglio in su la riviera si trova un gran seno detto saracinamente Marza, che in lingua latina vuol dir porto, e secondo Tolomeo è chiamato Odissia, e da Cicerone nel settimo delle Verrine, è chiamato Edissa, e vi possono star le navi, da cui è poco lontana un'altra salina del medesimo nome. Al promontorio occidentale di questo seno, che corre al mare verso mezzogiorno, si vedono le rovine d'una città, ch'era un miglio e mezzo di circuito, ed era posta in un sito non men bello, che giocondo, e con essa le vestigia d'una fortezza rovinata dal mare, e d'edificj, e Tempi fatti all'antica. Per le quali rovine, ancor che si possa venir in conjettura, ch'ella fusse una città famosa e bella, tuttavia io non ardisco affermare come ella si chiamasse appresso agli antichi, ancor ch'io possa immaginarmi ch'ella fusse Euboja, edificata da Leontini verso mezzogiorno secondo Strabone, o vero Callipoli, ed oggi dalla rovinata fortezza è detta Castellaccio. Dopo questa segue uno stagno chiamato Murra, il qual di state si converte tutto in sale, e poi segue un'altro stagno, detto Gorgo salato, il quale insieme con molt'altri vicini al Pachino, per esser d'acque piovane e dolci, né mai turbate dall'acque del mare, genera un sale pregiatissimo. A Gorgo salato son vicini tre scogli poco lontani l'uno dall'altro, ma dalla riviera discosto due miglia, detti l'isole de' Porri. Dopo Castellaccio, e Marza sei miglia presso al lido del mare, son due laghi abbondantissimi di pesci, l'un detto Busaitumo, e l'altro Busaitumello, i quali di subito sboccano in mare, e nascono da certi fonti, poco lontani dal castel Spaccafurno, chiamati Favara. Appresso a loro son le gran rovine d'una piccola città, chiamata oggi Ficallo, dove si vede un grandissimo Tempio, ma rovinato. Sopra le cui rovine è edificata una Chiesetta del medesimo nome, dedicata alla Vergine Maria, e si vedono le muraglie rovinate, e molti frammenti d'edificj. Appresso alla città è un colle, che spunta alquanto in mare, a guisa di promontorio, detto Cozzo da S. Maria di Ficallo, nella cima del quale si vedono le reliquie d'una rocca grandissima rovinata, ma alle radici di detto, le quali si congiungono al mare, son molte fonti d'acqua dolce, ch'escono de' vivi sassi, e anche nella città è una fonte grande, onde tutto questo paese chiamato Ficallo, per esser abbonante di fonti, di laghi, e di torrenti, dà occasione agli uomini di pigliarsi molti spassi, e diporti in pescare, cacciare, e uccellare, e non ha altro mancamento, se non che ella è sottoposta a quelle medesime immagini d'aria che l'isola di Correnti. Ma qual fusse anticamente questa città, io non l'ho ancor trovato in alcuno autore, ch'io abbia letto. Due miglia lontan da Ficallo si ritrova un luogo chiamato Pozzo vecchio, dove si vedono le rovine d'un castello, da cui lontano un mezzo miglio è una torre grandissima, fatta da Bernardo Incrapera, Conte già di Modica, la quale è chiamata Puzzallu, ed è levata dal mare, e vi si fa la fiera del grano, e di quì a Malta è poca via, cioè sessanta miglia. Dopo Puzzallu a due miglia si trova un piccolo ridotto da navi detto Mainucu, e poi un miglio discosto segue Rajancino, a cui altrotanto spazio di via succede Curciuvo, e poi vien Pissoto, e Samuel, e 'l ridotto chiamato San Pietro, dove si vedono le rovine d'uno edificio antico. Dopo un miglio e mezzo si trovano le spelonche, dette volgarmente Sbruffalore, le quali son chiamate così perché l'onde percotendovi dentro, e ritornando in dietro, fanno la spuma in mare quanto è lungo un tiro di mano, con grandissimo suono, per cagion dei scogli, che vi son vicini. E poco dopo si trova un'altro luogo, dove si fa la fiera del grano, chiamato i granari vecchi, da cui non è molto lontana la bocca del fiume Modicano secondo Tolomeo, oggi detto Sicli. Questo fiume nasce sopra il castel di Modica un tiro di fromba, e nel corso quattro miglia da lunge passa per Sicli castel moderno, ma bello, di cui egli piglia il nome, e dopo tre miglia sbocca in mare. Dalla cui bocca lontan un miglio si trova una fonte in su 'l lido, che si mescola spesso con l'acqua del mare, tanto è abbondante, e con nome saracino è detta Ailumata. Dopo due miglia segue la bocca del fiume Irminio, celebratissimo in questa riviera, secondo Plinio, ed oggi è detto Maulo, e bocca di Ragusa, il qual ha capo nella cima del monte Cerretano da una fonte chiamata Fico, ch'è nel mezzo del camino tra Palazzolo, e Vizini, e di subito cresce per l'acqua d'un'altra fonte detto Fanara, la quale nasce poco meno d'un miglio lunge da Fico verso Ponente. Le quali acque congiunte insieme fanno un fiume tanto grosso, che sostiene mulini da grano, e nel correr passa per il castello cerretano, da cui egli piglia il nome. E poco appresso si fa più grosso per l'acque d'altri fonti, e lasciando da man destra il castel di Ragusa, lasciato il primo, riceve il suo nome, e correndo senza perdere il nome, sbocca quì in mare. Segue dopo questo il ridotto, detto Mazarelli un miglio discosto, e dopo un miglio e mezzo si trovano certe rupi, e certe moli rosse, il qual luogo non sò s'è quello, che Tolomeo chiama l'ultimo Bruca, e dopo un miglio segue un altro piccolo ridotto chiamato Anigeffi, appresso al quale un miglio seguitano le rovine d'un'antica città e grande, le quali son percosse dal mare, e gli abitatori le chiamano Longobardo Mulinaccio, e Cumo. Queste rovine d'edificj, le quali parte son tutte per terra, parte coperte da spine, e da palma salvatica, per distendersi due miglia lontano, continuamente fino al luogo detto San Nicolò, e dove è oggi il mulino vecchio, chiamato il Mulinaccio, a cui dava l'acqua il fiume, che scende da' colli ragusani, fanno fede, che quella era una gran città. A questa città verso ponente quasi un mezzo miglio soprastà un campo, ch'è di giro un miglio, e circondato da' colli, ed ha l'acque del predetto fiume, le quali fanno molto atto alla cultura, e molto fecondo, e per fino a' dì nostri si vedono l'anticaglie de' giardini, e degli orti antichi. E questo luogo si chiama Bagni da tre bagni antichi, fabbricati quivi con bellissimo artificio, e maravigliosa architettura, due de' quali son mezzi rovinati, e l'altro è del tutto integro, e l'opera è maravigliosa e regia, e non punto minor d'una fabbrica romana. Da man destra di questo luogo, un tiro di mano discosto, sorge un monticello, nella cima del quale per esser piana era un teatro, come ne fanno fede le maravigliose anticaglie, e le gran rovine, che ancor oggi vi si vedono, ed in qualque parte ritengono la forma, e d'onde con bella veduta si vedono gli orti, i colli, il piano della città, e 'l mare; il qual luogo mi credo che fusse per ricreazione, e diporto del Re di quel paese, ove andasse a pigliarsi sollazzo. E per andar più là, queste ragioni non mi pajono sciocche, massimamente essendo fondate in autorità, per le quali io sono sforzato a credere, che quì fusse la città d'Inito, ch'era la città regia di Coccalo Re de' Sicani, perocché Aristotile nel sesto della politica, Erodoto nel sesto libro, Diodoro nel quinto, e Pausania, e Strabone nel sesto, la pongono nel lato di Sicilia volto a mezzogiorno, e vicina a Camerina, e non son discordi in altro, salvo ch'Erodoto, e Strabone, e Stefano la chiama Inito, e Pausania la dice Inico. E che questa città d'Inito fusse la regia del Re de' Siracusani ne fa fede Antioco nel libro XII. Il quale scrisse molto diffusamente di loro, siccome afferma Diodoro. Ma a che tempo ella cominciasse, e da chi ella fusse edificata io non lo so, ancor che sia verosimile ch'ella fusse edificata da' Sicani. Questa città, per la magnificenza de' bagni, ne' quali si crede, che fusse soffoccato Minos Re di Creta, e per l'esilio di Scito Re de' Zanclei, è molto memorabile e famosa. Il vino Inittino, il qual per testimonianza di Strabone nel sesto era perfettissimo, si desidera oggi grandemente dal mondo. Dopo Initto segue il ridotto Caucona, ch'era già porto secondo Tolomeo, e Procopio nel terzo libro della guerra de' Vandali, detto a' tempi passati Rasaracami, ed a' tempi nostri Scarami, e con lui la bocca del fiume del medesimo nome, benché molti lo chiamino da Santa Croce, il qual nasce dal fonte Favara quattro miglia lontan dalla riviera. Segue poi poco lontano una grotta tutta rosa, e consumata, aperta e aspra di sopra, e da' colombi che vi fanno il nido è detta la Colombara, nella quale percotendo l'onde del mare, facevano poco tempo fa un suono, simile a quello d'un tuono, che si sentiva ventimiglia discosto. Ma l'anno MDLII, essendo percossa dal mare straordinariamente, rovinò sopra se medesima. Vicina a questa un miglio fra terra si trova una Chiesa sopra un colle, posta sopra colonne, e fatta di pietre riguadrate, la quale è domandata da' paesani Steriopinto, ed appresso agli antichi era un Tempio molto famoso. Lontan due miglia dalla Colombara nella riviera segue la bocca del fiume Oano, secondo Pindaro nell'Olimpie alla quinta ode, ed oggi detto Frascolari, dove è anche un ridotto da navi del medesimo nome. Nasce ne' monti Ragusani da un fonte, il quale è chiamato dalla bocca ch'è sette miglia lontano passo largo, e passando pel luogo detto passo di Sicli, sbocca quì in mare.
Dal capitolo II
La città di Camarana è lontana quasi un mezzo miglio dalla bocca del fiume Oano, o vero Frascolari. Questa città è posta sopra un certo colle alquanto rilevato, il qual è nel mezzo di due fiumi, cioè Oano, e Ippari, ed un lago, il quale è non meno infame, che memorabile per lo naufragio dell'armata romana, e fu edificata da' Siracusani, quando eran grandi di ricchezza, e dell'Imperio, sotto la guida di Dascone, e di Menocolo, e fu l'anno CXXXV. dopo l'edificazione di Siracusa, e dalla creazione del mondo MMMDC. nell'Olimpiade XLV. secondo che afferma Tucidite nel sesto libro. Strabone nel sesto libro dice; Camerina fu colonia de' Siracusani, e tirò la sua etimologia dal greco nome camera, che significa fatica, e neo, che vuol dire abitare, cioè città dopo molte fatiche abitata, ancor che' siano molti, i quali dicono, ch'ella ricevè il nome dal lago, che l'è vicino, perché Duri Samio, secondo che narra Stefano, la chiamò camerino in genere neutro. Questa città, siccome ebbe subito principio, così ebbe subiti accidenti. Perché essendo insuperbiti i suoi abitatori, e diventati insolenti per la prosperità delle cose, si ribellarono a' Siracusani loro genitori, e signori. Ma essendo stati vinti da loro, la città fu rovinata da' fondamenti, ed eglino ebbero sempre poi la fortuna contraria come quelli, che non avevano saputo usar bene la lor felicità. Perocché Ippocrate Tiranno di Gela, il quale l'aveva ricevuta per ricatto di molti Siracusani, ch'egli aveva vinti, e fatti prigioni al fiume Eloro, a' prieghi de' Corintj, e di quei di Corfù, come racconta Erodoto nel settimo libro, ed avendovi condotta la colonia nell'LXXXII. Olimpiade, nella quale era restato vincitore Saumo, le rifece le mura, e la riempì d'abitatori, come anche conferma Tucidite, e l'interprete di Pindaro. Ma al tempo poi di Gelone successore d'Ippocrate, ribellandosi ella di nuovo da lui, fu di nuovo rovinata, e poco dipoi fu dal medesimo rifatta, e messivi nuovi abitatori, la ridusse nel primo grado. Ma avend'ella al tempo della prima guerra Cartaginese preso la parte d'Annibale, fu combattuta da' Romani, e vinta, e fu abitata da' Romani, secondo che narra Polibio. E non senza ragione la chiama Pindaro nelle sue Olimpie, allevatrice di popoli, perché tra tante mutazioni, fu sempre abbondante di popolo, e pareva sempre ch'ella ne partorisse di nuovo. Le sue mura son bagnate dal fiume Ippari secondo Pindaro, e Iporo secondo Tolomeo, e Jotari secondo Vibio Sequestre, ed oggi è detto Camarino. Questo fiume nasce dodici miglia lontano dalla sua bocca, da un fonte larghissimo, che già si chiamava Diana secondo Solino, sopra il quale fu edificato un castello, detto con voce saracina Jomiso, per questa cagione, accioché si tirassero le sue acque, nel mezzo della piazza, le quali son tanto copiose, che scendendo quanto è un tiro di mano, son bastanti a volger ruote da mulini, e fanno un fiume, che correndo dodici miglia, entra in Camerina. Intorno alle sue rive sono assai piante, e massimamente di cedri, d'aranci, e di pomi granati. Quello, che scrive Solino di questo fonte è cosa maravigliosa, cioè, che se una donna impudica annacquava il vino con quell'acqua, e ne beveva, non potendo star insieme in un corpo corrotto l'acqua con quel vino, subito scoppiava, e manifestava il peccato, e tutti coloro che avevano le mogli a sospetto, solevano provar la loro castità con quest'acqua. Il fiume Ippari, prima ch'egli sbocchi in mare quasi un mezzo miglio, passa per uno stagno, ch'è di giro due miglia, il quale stagno è fatto da' fonti vicini, che son più di venti, ed è sotto alla città, ed era chiamato anticamente Esperia, e poi (siccome dice Vibio Sequestre) fu detto lago di Camarina. Di questo lago, e del fiume Oano, e del fiume Ippari, ne parla Pindaro nelle sue Olimpie alla quinta ode, a questa foggia. O Pallade (dice egli) Dea particolar della città, il tuo Tempio è casto ed il fiume Oano ti consacra il vicino stagno, ed i sacri canali co' quali Ippari lava l'esercito, e forma, e mette insieme prestamente il gran bosco delle bellissime e saldissime abitazioni, e rimena dalle tenebre alla luce la città di Camarina. Ove il suo interprete dice. Ippari è un fiume di Sicilia, vicino a Camarina, il quale è tanto grosso e pieno, ch'egli sostien le navi, con le quali gli antichi solevan portare gli alberi d'estrema grandezza, tagliati ne' monti vicini, e le travi per fabbricar le case, e Tempj. Onde gli antichi dissero, ch'egli era navigabile, il che manifesta la larghezza della bocca, e 'l lago vicino. Ma benché questa palude arrecasse anticamente molti commodi alla città, nondimeno ella vi faceva spesso cattiva e corrotta aria. Laonde i Camarinei avendo domandato l'oracolo d'Apolline, se' dovevano seccarla; fu risposto loro dall'oracolo, che non dovessero muover Camarina. Ma essend'eglino spesso molestati da grandissime e mortalissime pesti, e vedendo di poter levar via quella cosa, che n'era cagione, riguardando solamente alla salute presente, e dispregiato l'oracolo, lo seccarono, e conseguirono la desiderata sanità. Ma non v'andò molto, ch'essi cascarono in un danno maggiore, perché trovando i nemici la strada facile, d'ond'era la palude, ch' l'assicurava, e difendeva da quella parte, entrarono dentro, e la saccheggiarono, e così venne a patire le pene del dispregio della Religione, ancor che superstiziosa, e falsa. Onde Virgilio nel III dell'Eneide disse:
Da lontan Camarina appar, la quale / Non volse Apollo mai, che fusse mossa.
E Sillio Italico nel XIV. libro, disse il medesimo. Di quì venne quell'antico proverbio greco, che diceva. Non muover Camarina, il quale è tanto vulgato, che lo sanno insino a' barbieri. Questo lago è ancor oggi in essere, e non è famoso se non per la pescagione, che vi si fa, perocché egli produce tinche, ed anguille bonissime, e la città di Camarina, ch'anticamente era nobilissima d'edificj, e di ricchezze, è oggi rovinata, e non v'è d'integro, e d'antico se non i fondamenti, ed il nome non ha patito altro danno se non la mutazione del i in a, e si dice oggi Camarana, e mostra le sue rovine per tutto, le quali durano quasi un miglio, e mezzo. Il suo lido era adornato al mio tempo da certe moli mal fatte e grandi, gettate, anche nel profondo del mare, ch'erano le maggiori di quante io n'abbia mai vedute, le quali facevano come dire un porto, e le trovai spogliate de' loro ornamenti al castel di Terranova, quando io andai a veder un'altra volta Camarina, l'anno MDLIV, che di quivi erano state portate là con tutte l'altre anticaglie. Al capo della rovinata città, è la Chiesa di Santa Maria, dove si fa la festa a mezzo il mese d'Agosto, con gran concorso di popolo. presso alla sua muraglia è una torre, la qual fu edificata da Bernardo Incrapera, già Conte di Modica, delle rovine della città. Fuor delle mura della terra verso settentrione è un cimiterio dove sono assaissime sepolture, ed è a guisa di una rocca, tutto di pietre tirate in quadro. Psaume figliuolo d'Acrone, che restò vincitore con la sua quadriga nella LXXXII. Olimpiade, fu da Camarina, a cui Pindaro per la vittoria avuta, dedicò la terza ode dell'Olimpie. Fu nobilitata questa città ancora da orfeo poeta, il qual descrisse in versi l'andata all'Inferno, come scrive Suida. Dopo la bocca del fiume Ippari, quasi un mezzo miglio, si trova un lago lontan dal mare un tratto di sasso, ma non cresce se non per le pioggie, le sui acque si congelano in pezzi di sale. Dieci miglia da lunge poi si trova il fiume Dirillo, e la sua foce, il quale è notissimo in questa riviera, e mi maraviglio, ch'ei non sia stato nominato mai da alcuno scrittore antico. Questo fiume ha d'intorno alle sue rive molte foltissime selve, le quali durano parecchi miglia, e sono abitazioni di bestie, e d'assassini, e v'hanno dentro per tutto sicurissima stanza. Egli nasce a Vizini, da due capi, l'uno de' quali gli è presso due miglia verso levante, chiamato Paradiso, il quale presso a Mogia, riceve l'acque d'un fonte detto oggi Favarotta, e correndo lascia il castel da mano destra, l'altro suo capo è appresso al castel verso ponente, il qual è fatto da tre fontane poco lontane da Vizini, l'una delle quali è detta Corvo, che gli è appresso un tiro di sasso, l'altra è domandata Sant'Angelo da una Chiesa del medesimo nome, e l'altra, che nasce sotto le mura del castello, è chiamata con nome Saracino Massar. Questi tre fonti congiunti insieme bagnano le radici della rupe, sopra la quale è posto il castello, e danno l'acqua a' mulini. Così il castel di Vizini viene ad esser posto nella rupe alquanto rilevata, tra due fiumi. Questi due fiumi si congiungono insieme sotto il castello in un luogo detto il Mulino del Barone, e quivi fanno un fiume solo, il qual subito riceve il nome di Vizini, e correndo per la valle, lascia da man destra il castel di Licodia, di nome Saracino, posto sopra del colle, e pur seguendo il suo corso, in un luogo ch'oggi è detto Rajuleto, riceve le acque del fiume di Monte rosso, detto così dal castel del medesimo nome, il qual lasciato da man sinistra, si congiunge col fiume di Mazaruni, e da lui riceve il nome. Onde lasciato da man sinistra il castel di Chiaramonte, posto ne' monti nevosi, bagna da man sinistra il picciolo castello di Viscari, e passando per mezzo il rovinato castel di Dirilli, di cui s'usurpa il nome, vien quivi vicino a sboccare in mare. Non lunge da questa sua bocca si trova lo stagno Cocanico, il quale al tempo della state non si congela tutto in sale, ma solamente d'intorno alle rive, di cui Plinio nel XXXI. libro, al capitolo VII. parla a questa foggia. Il lago di Sicilia detto Cocanico, ed un altro posto presso a Gela non si congelano in sale se non d'intorno alle rive. Poco lontan di quì si trova la bocca del fiume detto Manumuzza, il qual nasce nel paese di Caltagirone. E poco più lunge di quì si trova la bocca del fiume di Terranova, chiamato così dal castello del medesimo nome, il capo del quale sorge poco lontan dal castel di Platio.
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