La sfida che noi Giovani Democratici abbiamo dinanzi ai nostri occhi tratta due temi fondamentali: il lavoro e la partecipazione politica. La precarietà lavorativa che viviamo quotidianamente si traduce in una precarietà di vita. Un contratto atipico è il prototipo di un giovane italiano, compreso entro la fascia tra i 25 e i 35 anni di età, in possesso di un titolo di studio medio-alto, generalmente laureato, alla ricerca di un posto di lavoro che dia spazio all’attuazione delle conoscenze acquisite, e che ripiega in call-centers, nei bar,in prestazioni saltuarie per sopravvivere di quegli “agognati e famigerati 1000 euro (o meno)” a scadenza, chiamati lavoro a termine, co.co.co, lavori a progetto, a chiamata, interinale (o peggio in nero). Giovani precari, figli della generazione dei contratti a tempo indeterminato, della certezza del posto fisso, di diritti e tutele proclamati nella 300/70, figli di un sindacato forte, coeso, figli delle lotte e della rivoluzione culturale, giovani che hanno studiato saldi sulle conquiste dei padri e che invece ora sopravvivono miseramente della pensione di quei padri vincenti, lottatori, risparmiatori ma le cui lotte oramai sono solo pagine di storia esanimi. E la precarietà partorisce sfiducia, sconforto, solitudine, apatia, disillusione, depressione. Trova scampoli di positività, disegna squarci di futuro solo guardando alla fuga come mera soluzione. Ed è proprio la fuga il tumore del Mezzogiorno d’Italia e che ancora segna profondi solchi, riporta alla luce il problema storico della questione meridionale, delle rilevanti differenze tra Nord e Sud d’Italia, come tristemente in questi ultimi anni ci ricordano sistematicamente le indagini della Svimez.
Precarietà è anche distacco da una politica lontana, inerte, oligarchica, centralistica e spesso maledettamente gerontocratica, dispensatrice di promesse mai realizzate, incapace perché vecchia, salda nei propri privilegi e che riconosce la “democrazia” solo come sinonimo di “preferenza”, sorda alle grida della base, cieca dinanzi ai bisogni della cittadinanza. Noi Giovani Democratici dobbiamo con forza riprendere le chiavi del nostro futuro. Insieme siamo creatori di una sinistra moderna, lontana da becere costruzioni e che ritorna ad essere portavoce dei bisogni della nostra generazione, che parla con un linguaggio nuovo, che crede in un’etica della gestione della cosa pubblica. Lungo il Volturno, 150 anni fa, si svolse la grande battaglia difensiva dell’esercito garibaldino che pose le basi dell’unificazione nazionale. Decine di migliaia furono i volontari che accorsero al richiamo della straordinaria impresa del generale Garibaldi. Oltre 20.000 i ragazzi: e in quest’anno di celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia abbiamo imparato quanto fossero giovani quei patrioti e quanto fossero animati da grandi passioni civili che in una parola chiamiamo “la bella politica”. Bella perché affascinante; affascinante perché aveva e presentava un orizzonte di obiettivi entusiasmanti; appassionata perché c’era la consapevolezza di partecipare a qualcosa di veramente “grande”. Anche noi, ricordando la memoria di quei “Giovani Ribelli”, oggi a Torino, poniamo le basi di una rivoluzione culturale , uniti da Nord a Sud per la realizzazione di un sogno, una nuova unità: un’Italia che lavora.
Il coordinatore dei GD di Pachino
Vitaliano Dilorenzo
Il portavoce dei GD di Pachino
Corrado Carnemolla