Mi ero ripromesso, anche con qualche persona toccata molto da vicino dall’episodio, di intervenire sul tema recentemente balzato alle cronache locali con occasione dell’uccisione di Corrado Alberto Crisafi, pachinese di origine e socio fondatore del partito “Primero Justicia”, oltre che parlamentare del Venezuela in opposizione al governo guidato dal presidente Hugo Chavez.
La notizia del sequestro -e, fortunatamente, dell’immediata liberazione, giorni dopo- di un’altra donna di origini di pachinesi (Paola Di Ottobre), mi da la oggi possibilità di intervenire sul quadro, a tinte sempre più confuse e fosche, della complessiva situazione venezuelana, con particolare riguardo alla difficile condizione della comunità degli italiani in quel Paese.
Se lo faccio è, anzitutto, per ragioni più che “anagrafiche”: sono nato a Caracas da genitori emigrati in Venezuela e lì sono vissuto per molti anni. Da qui il mio particolare affetto per una terra che sento mia, di cui seguo con attenzione -e non da oggi- le vicende.
Ma non è tutto: il “laboratorio venezuelano” impiantato da anni dal colonnello Hugo Chavez Frìas rappresenta un’assai esplicativa cartina di tornasole di come si stia evolvendo non solo il “socialismo” (come lo chiama lui) in Sud America, ma di come possa evolversi e travestirsi -nel terzo millennio- anche una dittatura in piena regola, quale è quella camuffata dal presidente bolivariano dietro i panni di una sempre più fragile democrazia.
Metto subito le carte in tavola: mi rendo perfettamente conto che affermazioni di questo tipo possono apparire trancianti e contestabili, specie da una certa parte politica.
Ma è proprio questo il punto: il proprium del chavismo riposa esattamente nella sua ambiguità, che lo mette al riparo da giudizi e condanne perentorie, altrimenti automatiche nei casi (troppi) in cui il regime si è manifestato in termini brutali e spocchiosi (e non mi riferisco certo solo all’esibizione muscolare in funzione antiamericana, ma -ad esempio- allo sprezzante commento del presidente-colonnello di fronte all’esito, per la prima volta a lui sfavorevole, del recentissimo referendum sulla modifica -l’ennesima- della costituzione, bocciata dal popolo venezolano).
Gli esempi non mancano.
Molto del disorientamento della comunità internazionale (o, per venire al nostro piccolo, della politica estera italiana) nei confronti della Repubblica Bolivariana sembra difficilmente spiegabile al di fuori dell’affarismo (petrolifero e non) del regime.
Un affarismo assai poco “socialista” (in questo simile a quello cinese), ma efficace come strumento -oltre che di arricchimento- di “interdizione” in politica estera, specie se si è impegnati, come Chavez, in un complessivo rinnovamento del parco degli armamenti del proprio esercito.
Interessante deve dirsi anche la complessiva gestione del caso di Ingrid Betancourt, l’attivista verde candidata alle elezioni colombiane, rapita dalla guerriglia marxista delle FARC anni addietro, al centro di una partita internazionale in cui Chavez ha voluto giocare un ruolo da prima donna (anche, se non soprattutto, in funzione di discredito verso il presidente colombiano filoamericano Uribe), salvo emergere dalla giungla -e dai dossier dell’Unipol, non certo della CIA- il segreto di Pulcinella: che cioè quest’emulo di Fidel Castro finanziava egli stesso la guerriglia cocalera….
Venendo più vicini al nostro “orto” -e cioè al contesto degli italiani che vivono da decenni in questa lontana nazione- ed alle reazioni seguite in Italia ed a Pachino all’omicidio Crisafi (invero sonnecchianti se non nulle, salvo che per la pregevole iniziativa di Città Etica di una sottoscrizione finalizzata a chiedere la verità sull’assassinio), mi è subito parsa monca la contestualizzazione dell’evento che, ritengo, invece meritasse un più ampio approfondimento.
Oltre a quanto detto -ed a quanto si potrebbe dire ancora- sul regime bolivariano, è appena il caso di evidenziare che tanti nostri connazionali (e conterranei siciliani) sono rimasti vittime, come Crisafi, di vicende oscure e gravissime, specie se le ricolleghiamo al loro ruolo in quel Paese.
Il caso di Filippo Sindoni –l’imprenditore siciliano che aveva rappresentato per sette anni gli italiani del Venezuela nel Consiglio Generale degli Italiani all'Estero (Cgie)- sequestrato ed ucciso nel marzo scorso a Barquisimeto, non è che una delle preoccupanti spie di una condizione sempre più allarmante -ed allarmata- della comunità italiana (quella alla quale, si racconta, il presidente bolivariano vorrebbe restituire quanto prima le sue “valigie di cartone”).
Una comunità -è fonte di legittimo orgoglio dirlo- non avulsa dalla vita sociale e politica venezuelana, ma così integrata e coraggiosa da sapersi anche esprimere, con tenacia pari alla forza, contro molte delle malefatte del regime chavista. Una comunità per questo “scomoda”, come “scomodo” era diventato -probabilmente- Corrado Alberto Crisafi, uno dei suoi alfieri più attivi ed impegnati.
Un pachinese (perché tale, a quanto pare, si sentiva) che, dopo aver donato e speso una vita e molte delle sue risorse per il sociale, aveva deciso di dare il suo contributo per rendere quella venezuelana una democrazia finalmente degna di questo nome.