Nello Lupo alla Fiera del Libro di Torino il 14 e 15 Maggio
In occasione della Fiera del Libro di Torino, che si terrà il 14 e 15 maggio, verrà presentato il nuovo saggio di Nello Lupo Complessità pedagogia educazione nel pensiero di Edgar Morin a cura delle Edizioni la rondine.
Nello Lupo, docente di scuola media, pedagogista e neuropsicologo, è alla sua seconda pubblicazione.
Al primo saggio di natura pedagogica Don Lorenzo Milani prete e maestro, edito nel 2001 dalla Libreria Editrice Urso di Avola, segue questo nuovo scritto pubblicato dalle Edizioni la rondine, che è la casa editrice dell’ANPE (Associazione Nazionale dei Pedagogisti Italiani).
Si tratta di un ampio saggio di Epistemologia e di Filosofia dell’Educazione sul pensiero di una delle figure più eminenti della cultura contemporanea: il filosofo ed epistemologo francese Edgar MORIN, considerato a ragione il più autorevole rappresentante di quel nuovo paradigma interpretativo della realtà che è il modello della complessità.
Nello Lupo presenta inizialmente le radici teoretiche del mutamento di paradigma che si è realizzato nel passaggio dalla modernità alla post-modernità, una “rivoluzione paradigmatica”, nel senso kuhniano del termine, che porta Morin ad elaborare, su un piano squisitamente filosofico, la sua visione complessa della realtà che codifica nella formula “realismo complesso”.
Quella moriniana è una filosofia che si alimenta di una molteplicità di riflessioni teoretiche: epistemologiche, logiche, antropologiche, sociologiche, pedagogiche, estetiche, che l’autore francese cerca di far dialogare mediante e attraverso un paradigma epistemologico, chiamato della complessità, che non è un paradigma nel senso classico del termine, ma un meta-paradigma, cioè un modello a contenuto meta-teorico e critico, che si alimenta di nuovi e più alti principi di indagine del reale.
La nuova “epistemologia della complessità”, si sostanza di un nuova methode di ricerca del reale, si contrappone a qualsiasi concezione della conoscenza che la vuole disgiunta e ridotta unicamente a quella che riceve l’approbatur dello scienziato logico-empirico. Una concezione mutilata e mutilante del reale, frutto della “scuola del lutto”, dell’”errore di Cartesio” che introdusse nel pensiero moderno il dualismo fra le due res: res extensa e res cogitans.
In ciò dunque Morin supera Cartesio, nella consapevolezza della necessità del superamento delle Regulae cartesiane dell'evidenza, dell'analisi, della sintesi e del controllo, regole ormai inadeguate a portare il ricercatore alle soglie delle verità complesse quali appaiono oggi all'uomo post-moderno. La scienza moderna deve rinunciare a spezzare le circolarità complesse, a eliminare le antinomie, deve sfuggire al pensiero mutilante della disgiunzione/semplificazione, deve saper conservare la circolarità della realtà e del sapere, trasformando i circoli viziosi in circoli virtuosi riflessivi e generatori di pensiero complesso. Il nuovo metodo deve saper ritrovare, dunque, i legami, le articolazioni, le solidarietà, le implicazioni, le connessioni, le interdipendenze, le complessità.
Nello Lupo discute le ragioni che conducono Morin, a partire da questa visione articolata e complessa del reale, alla costruzione di una nuova antropologia, che ricerca la natura della physis nella sua interrelazione con il mondo biologico e con la realtà antropo-sociale, per cui la ricerca della "natura della natura" non può fare a meno della ricerca di un metodo per cogliere le articolazioni chiave Oggetto/Soggetto, Natura/Cultura, Physis/Società che nascondono e spezzano le conoscenze semplici.
Definito il quadro epistemologico e filosofico, Nello Lupo conduce il lettore alla scoperta della concezione moriniana dell'uomo, così come emerge dal suo fondamentale scritto antropologico: Il paradigma perduto. Cos'è la natura umana?, che si sostanzia di un tentativo di superamento (ben riuscito) delle vecchie antinomie materia/spirito, anima/corpo, in favore di una concezione articolata.
L’homo moriniano si distanzia dalla concezione insulare del materialismo riduzionista, per cui l'essere umano è sostanzialmente l'uomo produttore, in favore di un policentrismo dei fattori (fisici, biologici, culturali, sociali) e di una circolarità del processo, che fa dell'uomo non un'essenza particolare che sia soltanto genetica o soltanto culturale. La persona non è una sovrapposizione quasi geologica dello strato culturale sullo strato biologico; la sua natura è nell'interrelazione, l'interazione, l'interferenza dentro e mediante questo policentrismo. L'uomo - afferma sempre Morin - è per l'appunto il prodotto di questo gioco incerto, nel quale la sua prassi diventa produttrice.
La parte finale del libro è dedicata all’illustrazione di una nuova teoria dell'educazione, che l’epistemologo francese costruisce lungo tre direttrici: la prima epistemologica, volta a costruire una epistemologia pedagogica criticamente comprendente, che renda conto della complessità del discorso pedagogico, che si sostanzia non più nel singolo modello superiore ad altri, ma nella concorrenzialità dialogica, problematizzante e plurare, delle logiche pedagogiche, delle teorie e dei princìpi.
Una posizione, quella moriniana, che si sviluppa attorno al paradigma socio-politico, secondo una concezione attiva e non contemplativa del sapere pedagogico, e assegna alla pedagogia un ruolo attivo, e forse anche fondamentale, nel grande disegno di trasformazione della società. Ma si nutre anche del paradigma filosofico-antropologico, all'interno del quale sviluppa i contenuti ermeneutici-filosofici, riaffermando il primato della filosofia per via della sua vocazione riflessiva e unificatrice.
In questa visione Morin propone un'opposizione alla pedagogia come scienza riduzionista. Una sorta di via del sospetto, una via filosofica dai caratteri marcatamente critico-ermeneutici, che ingloba aspetti di irrazionalismo (logica sapiens/demens) e storico-sociologici (la critica alla società), ma anche religiosi (l'amore come esperienza sovraumana), che l'autore francese, per via del suo personale atteggiamento nei confronti del trascendente, si sforza di trasporre in religione laica.
La seconda direttrice è la costruzione di una nuova teoria dell'istruzione. Morin affronta i consueti temi dell'educazione intellettuale, di quella morale ed etico-sociale, dell'educazione alla nuova cittadinanza, dei fini dell'educazione, all'interno di una visione ampia e complessa. Vale per l'educazione uno dei principi fondamentali dell'epistemologia della complessità: il principio ologrammatico, per cui le educazioni settoriali sono nel contempo parti e tutto di un'educazione che è l'educazione alla pace.
Morin introduce il concetto nuovo di meticciamento generale dell'umanità e sostiene che compito della didattica, non solo scolastica, è creare l'orientamento antropologico necessario al meticciamento culturale. Il meticcio - sostiene il nostro - è l'uomo del domani, in grado di fondare la propria identità rifacendosi direttamente alla nozione di umanità.
Da questi principi parte la terza direttrice di riflessione pedagogica, l'idea moriniana di una riforma della scuola e dell'insegnamento. Che si sostanzia nel fine di una riforma del pensiero in direzione transdisciplinare (la testa ben fatta), e di una riforma della scuola, che fin dai suoi primi livelli primari, deve affrontare il problema della conoscenza, e in essa il problema della conoscenza dell'uomo, non dell'uomo insulare di derivazione cartesiana, ma dell'uomo immerso nel suo habitat naturale: il cosmo.
Da qui alcune proposte: ecologizzazione delle discipline scolastiche, l'interdisciplinarietà e la transdisciplinarietà come approccio metodologico al sapere, il ruolo centrale della filosofia nelle superiori, la riforma dell'Università e della metodologia della ricerca, il riaccorpamento polidisciplinare che favorisca il passaggio dal circolo vizioso della specializzazione al circolo virtuoso dell'anello ricorsivo dei saperi collegati e l'introduzione di una decima facoltà quella epistemologica.