Una importante iniziativa di solidarietà a favore delle Persone diversamente abili, cui abbiamo voluto partecipare per testimoniare Loro, anche concretamente, la nostra personale vicinanza e empatia, si è trasformata in un momento di retorica autocelebrativa. Molti pachinesi hanno snobbato l’iniziativa perché ne prevedevano l’esito scontato.
Diciamo subito, e senza infingimenti, che gli assenti hanno avuto torto!!! Non che la cultura espressa meritasse la nostra attenzione, ma l’obiettivo solidaristico prevaleva e prevale su tutto, anche sulla discutibile rappresentazione culturale cui ci è stato dato di assistere.
Eravamo andati con la manifesta speranza di partecipare anche a un evento culturale, che potesse ampliare gli orizzonti conoscitivi della nostra storia locale. Ahimè, l’attesa è risultata vana e delusa.
Abbiamo assistito, per ben oltre due ore, a monologhi senza dialogo di individui, fatta una sola eccezione, che hanno sciorinato il linguaggio dell’autoreferenzialità, con l’ego personale al centro dell’orizzonte espositivo, giammai l’Altro. E così, lo confessiamo, ce ne siamo andati delusi. Una lectio magistralis sulla storia locale che, nelle intenzioni del Vescovo Emerito, avrebbe dovuto assumere la connotazione di lectio vitae, si è trasformata in un vuoto momento autocelebrativo.
E così abbiamo appreso, ciò che sapevamo da tempo, che esiste un gruppo qualificato di letterati locali, che si autoafferma comunità di maestri storiografi, che pretende di possedere il “sacro fuoco delle verità eterne” su e intorno a Pachino; verità che nemmeno la ricerca più moderna, più accurata ed epistemicamente più corretta, riuscirà mai nemmeno a scalfire.
Beninteso! Non intendiamo muovere critica ai contenuti del libro presentato; non c’è ne bisogno. Il lettore potrà convenire che trattasi della raccolta in volume unico dei precedenti lavori di archeologia dello studioso netino. Quanto alla storia del Novecento è evidente che trattasi di semplici frammenti di storia, già tutti noti. L’eccezione e la positiva novità del libro è data dal capitolo sul Vescovo Giuseppe Malandrino.
Tralasciamo una possibile critica alla scelta dei 18 quadri personologici dipinti dall’autore medesimo; trattasi di tentativi di affresco artistico e non di libri di storia. Le gravissime lacune del libro in tema di personaggi storici locali (una per tutte: perché manca l’affresco su padre Bellomia da tutti considerato a Pachino un benefattore?) dimostrano che l’autore (lo ripetiamo, a scanso di equivoci, valente studioso di archeologia), non ha dimestichezza con la storia del Novecento pachinese, atteso che oltre alle gravi omissioni compie anche errori di datazione (comunque sempre dietro l’angolo nel lavoro dello storiografo), come quella sul sindaco Corrado Bellomia (1907-1910) che ne inficiano la validità storica.
Ma tralasciamo i contenuti e soffermiamoci su questioni di metodo. Sono queste che ci permettono di distinguere in una ricostruzione storica, ciò che è scientifico da ciò che è ideologico e agiografico. Naturalmente ci limiteremo ad alcune semplici considerazioni di carattere epistemologico e metodologico, senza alcuna pretesa di esaustività, che ben volentieri lasciamo al gruppo di illustri filologi locali.
Concordiamo che esiste già una storiografia locale ma non è quella delineata nella sintesi proposta dall’autore netino. Esistono sicuramente due filoni storiografici locali: l’uno a carattere scientifico, l’altro di tipo ideologico e agiografico.
La storiografia scientifica locale conduce a due nomi, quelli di Pasquale Figura e Peppe Drago. Sono loro indiscutibilmente i padri fondatori di questo filone scientifico, che oggi si avvale di importanti contributi di altri studiosi e ricercatori. Si può non essere in sintonia con alcune spiegazioni storiche di Peppe Drago, non si può sconoscere che il suo procedere nella ricerca storica è stato scientifico ed oggettivo, secondo i canoni del più maturo dei metodi storiografici.
La fondazione del filone agiografico e ideologico, per nulla scientifico sul piano metodologico ed epistemologico, la dobbiamo a Filippo Garofalo (1877) e a Simone Sultano (1941). Sono loro i due ideologi del potere, le “vestali della nobiltà pachinese”, i custodi del sacro fuoco delle verità eterne delle famiglie nobiliari locali e dell’antica e nobile (non l’attuale) chiesa locale, cui l’altro filone di ricerca continuamente si ispira (quello per intenderci presentato da Muscova e da alcuni suoi interlocutori), che perpetua senza l’errore agiografico d’origine. Perché questo secondo filone, che ha i caratteri dell’ideologia, è chiuso in se stesso e nelle proprie verità, nella sua pretesa di superiorità culturale, che fa dichiarare (ahimè) che i maestri ci sono (e sono loro), ciò che manca è la disponibilità degli allievi ad apprendere.
Gli agiografi degli Starrabba-Di Rudinì, sconoscono una verità elementare della teoria della conoscenza e di quella storica in particolare, il costrutto gadameriano secondo cui “l’esperienza di verità (tale è la spiegazione del fatto storico) si dà solo nel dialogo, in quella dialettica di domanda e risposta che alimenta il movimento circolare della comprensione”. E quando parliamo di dialettica, ci riferiamo a quella interna al loro stesso pensare. Sicché nei loro scritti frequentemente troviamo insanabili aporie, soprattutto nella descrizione della realtà economico-sociale. Da una parte il giudizio storico, caricature ideologiche, mediate dai “quadri sinottici….intelligenti e completi” del Garofolo e del Sultano, dall’altro la smentita di quegli assunti, di cui gli autori stessi non si avvedono, sulla base di documentazione concorrente.
E proprio qui sta la differenza tra scienza storica e ideologia. L’una, quella inaugurata da Figura e Drago, non si ferma né si fa irretire dal pre-giudizio, inteso ovviamente nel suo senso scientifico di pre-comprensione, scava va oltre, cerca e trova una spiegazione causale, attingendo al cuore stesso del metodo storico. Che è, e lo vogliamo ricordare, la ricerca delle condizioni antecedenti e/o simultanee, o cause, le quali congiunte a leggi, fanno sì che noi possiamo dedurre, da simile congiunzione di leggi e di condizioni iniziali, quel fatto [D. Antiseri, 1975]. L’altro, il filone ideologico, resta ancorato alle sue verità e ai suoi dogmi, frutti delle pre-comprensioni, secondo tradizione, e così si ferma solo al primo gradino del circolo ermeneutico della spiegazione, e pronuncia giudizi (o meglio pre-giudizi) senza aver prima effettuato un esame completo e comparato (ancorché mai definitivo) di tutti gli elementi conoscitivi rilevanti, ivi compreso l’esame della storia degli effetti attribuibili a quel dato fatto o personaggio storico.
A questa storiografia impacciata e ideologica mancano alcuni altri requisiti per dirsi scientifica. Uno per tutti: l’assenza di sforzo di periodizzazione, correttamente intesa come delimitazione e suddivisione di un processo storico dato in termini cronologici (D. Cantimori, 1957). Si obietterà che i frammenti di storia narrati sono periodizzati secondo lo schema generale classico. Ma da questa non si colgono gli sforzi dell’autore di pervenire a una concezione generale dello svolgimento storico della comunità locale, di individuarne i caratteri peculiari di ogni periodo, di spiegare la propria interpretazione del periodo. Sicché è alquanto improbabile che l’allievo possa cogliere lui medesimo le direttrici del processo di sviluppo storico nelle sue molteplici sfaccettature. I frammenti di storia non sono organizzati in unità storiche capaci di spiegare e dispiegare il senso e le direttrici dello sviluppo. In tal guisa i personaggi (gli Starrabba fondatori, il Di Rudinì, la coorte dei gabelloti di cui non si fa minimamente cenno, poi transitata al rango di nuova borghesia, gli stessi primi storiografi) si mescolano in una poltiglia multiforme senza precisa datazione e durata.
In storiografia datazione e durata sono gli elementi fondanti del processo di periodizzazione. Questo è inteso anche come organizzatore cognitivo che permette di costruire grafici temporali e tabelle sinottiche, che rendono evidenti le relazioni tra gli eventi e creano il contesto, situano i fatti in uno sfondo, che attribuisce loro significati. Ne deriva che se i fatti storici non sono periodizzati, appaino decontestualizzati e privi di significato, tuttalpiù bloccati in un significato superficiale e frivolo. Insegnare la periodizzazione (tempo e durata) costituisce perciò il primo e fondamentale obiettivo della didattica della storia a qualsiasi livello scolastico.
Possiamo allora comprendere la erroneità dell’assunto espresso da uno dei relatori, secondo cui Pachino possiede i maestri (e sono loro), ma non possiede allievi, perché la caratteristica dell’allievo è la disposizione ad apprendere, e nei pachinesi questa manca. Va da sé che il nostro relatore non ha riflettuto su un costrutto molto ben conosciuto: l’arte della maieutica. Il processo di insegnamento-apprendimento, che si istituisce tra maestro (inteso appunto in senso socratico) e allievo, si fonda sulle capacità maieutiche opportunamente declinate nel dialogo socratico. È quanto avviene nell’insegnamento ma, anche, nella psicoterapia ad esempio. E, dunque, le cause dei mancati apprendimenti degli allievi, andrebbero ricercate non nella disposizione degli allievi (può Dio essere capriccioso con i Pachinesi, avendoli creati tutti zombi come, pare, soleva affermare padre Spiraglia dei suoi concittadini?), bensì nell’incapacità dei maestri di sapersi porre in fecondo dialogo socratico con i propri allievi. Che poi è la trasduzione in termini pedagogici della tesi storica che abbiamo sostenuto nella nostra ricostruzione delle vicende storiche locali (cfr. Pachino l’altra storia. Le ragioni di un ritardo, voll. 1 e 2), del tradimento del proprio popolo da parte delle classi dirigenti locali.
La storiografia ideologica e a-scientifica, di cui abbiamo voluto tracciare alcune caratteristiche, considera positivo e progressivo il ruolo svolto nella comunità locale dai fondatori gli Starrabba-Di Rudinì. E per la sola ed unica ragione di aver dato i natali a queste nostre genti. È esattamente come se si desse un giudizio positivo di ogni genitore che mette al mondo un bambino, per il solo fatto di avergli dato i natali. Il ruolo dei genitori si declina nelle capacità di accudimento, capace di stimolare l’altro processo speculare dell’attaccamento, un attaccamento sicuro e non patologico, che consente una crescita individuale e sociale equilibrata e aperta all’Altro. Se l’attaccamento è insicuro nelle sue varie forme, le ragioni vanno ricercate nelle modalità disfunzionali di accudimento, che pregiudicano il benessere materiale e psicologico del bambino.
In metafora, sono proprio queste forme di accudimento che gli autorevoli rappresentanti del filone storiografico ideologico e a-scientifico non vogliono e non sanno indagare, preferendo mettersi al riparo della tradizione quale è espressa dalle tesi profondamente erronee sul piano contenutistico, metodologico ed epistemologico dei loro padri fondatori.
A chiusura un appello ai pachinesi: l’iniziativa di solidarietà a favore delle PERSONE DIVERSAMENTE ABILI, che Muscova e il Vescovo Malandrino hanno voluto promuovere, di per se stessa giustifica l’acquisto del libro, quindi
COMPRATELO!! COMPRATELO!! COMPRATELO!!
i nostri fratelli meno fortunati potranno avere un futuro DOPO DI NOI.
Dott. Nello LUPO