Con L'UOMO DEL GULAG di Janusz Bardach e Kathleen Gleeson, prosegue l’appuntamento settimanale con le segnalazioni del Cinecircolo Don Bosco di Portopalo. Dopo Cefalonia, ancora uno spazio ai temi legati alla storia del Novecento. Oggi infatti evidenziamo un libro, pubblicato l’anno scorso, che ricostruisce con puntiglio e precisione, attraverso il racconto di un internato, la disumanità e l’assoluta ferocia dei campi di lavoro staliniani dove morirono milioni di persone. E la Kolyma era l’infermo, tanto quanto lo furono i campi di sterminio nazisti.
L’uomo del Gulag
di Janusz Bardaci e Kathleen Gleeson
Edizioni Net 2006
Durante il regime di Stalin più di venti milioni di sovietici – oltre uno su otto, tra uomini, donne e bambini – sono stati giustiziati dai plotoni di esecuzione o inviati nei gulag per lunghi periodi di detenzione. Janusz Bardach, chirurgo facciale di fama internazionale e stimato cittadino di Iowa City, è stato parte di questa tonnara umana senza volto e, quasi sempre, senza memoria. Ma lui è sopravvissuto, a differenza di milioni di altre vittime della paranoia stalinista. È riuscito a strapparsi dalla famigerata regione della Kolyma, “la regione abitata più fredda che ci sia sulla terra”, incastrata tra la penisola di Kamchatka e i ghiacci dell’Oceano Artico. La Kolyma era l’ultima tappa del viaggio: in questa zona povera di ogni cosa fuorché di giacimenti auriferi, i deportati erano costretti a lavori massacranti nelle miniere, a condizioni di vita spaventose, alla separazione definitiva dai loro affetti e dal mondo civile, e naturalmente alla morte precoce.
Ne L’uomo del gulag, edito da Il Saggiatore per la sua collana NET, Janusz Bardach ripercorre la sua inumana esperienza nella “Siberia delle Siberie”, come veniva chiamata la landa desolata della Kolyma. Giovane ebreo polacco di profonda fede marxista, Bardach conosce l’invasione nazista e la fuga dalla Wermacht in marcia. Rifugiatosi in Unione Sovietica, si arruola nell’Armata Rossa, convinto di lottare per la liberazione della Polonia e degli altri popoli oppressi. Ma nel 1941 un errore banale (per un errore di manovra, fa rovesciare il suo carrarmato nel letto di un fiume) gli costa un’accusa tremenda quanto falsa: azione sovversiva anti-sovietica. Bardach è condannato a morte, ma la pena viene poi commutata in 10 anni di lavori forzati nella Kolyma; è così che inizia la sua interminabile calata nelle bolgie del gelido oltretomba siberiano. “Mi chiedevo se davvero quello che penavo era insostenibile o se potevo sopravvivere in qualche modo... Qual era il punto di sofferenza prima dell’autodistruzione? ... Pensai ai tanti individui pallidi, macilenti, cadaverici che avevo incontrato nelle prigioni. Alcuni avevano confessato crimini che non avevano commesso, avevano coinvolto genitori e figli al primo dente rotto... altri erano sopravvissuti a mesi di interrogatori, a notti senza poter dormire, allo strappo delle unghie, alla mutilazione dei genitali, ma non avevano sopportato i campi di lavoro”. Una testimonianza al limite del tollerabile, ma dolorosamente attuale, di quello che tuttora rappresentano i campi di prigionia: tortura, morte del diritto, dissoluzione di ogni residua sensibilità umana.
Recensione
Bardach ci parla della sua avvenuta condanna a morte, nel 1941, ad opera di un tribunale fittizio della Armata Rossa Sovietica. Si è trattato del pensiero più comune, balenato nella mente dei trenta milioni di individui sterminati dalla furia Staliniana, tra il 1937 e gli anni '50.
Polacco di origini ed ebreo di religione, Janusz abbraccia gli ideali comunisti e li persegue con passione. Sfugge alle persecuzioni naziste arruolandosi nell'Armata Rossa come carrista. A seguito di un incidente in manovra, nel quale il suo carro armato di rovescia e si arena nel letto di un fiume, viene formalmente accusato di attività sovversive anti-sovietiche e di attentato al potere del compagno Stalin. Ha inizio così la sua odissea che lo porterà, dalla sua terra di origine, la Polonia, fino alla regione della Kolyma, all'estremità Nord-orientale della Siberia. Un viaggio all'inferno e ritorno.
Sono numerose le analogie con le persecuzioni naziste del popolo ebraico, eppure la persecuzione di politici, scrittori, artisti, pensatori, semplici cittadini accusati di spionaggio e di propaganda anti-comunista, perseverata da Stalin negli anni bui dell'unione Sovietica, assume contorni oscuri a causa dell'isolamento in cui tutto ciò si è verificato. Erano lontani gli obiettivi di macchine fotografiche e telecamere, era troppo lontano il mondo civile. Soltanto dopo la morte di Stalin nel 1953 e il ritorno dei (pochi) supersiti si cominciò a delineare una realtà ben più grave di quella da tutti ipotizzata. Il sistema carcerario sovietico era quanto di più barbaro la mente umana potesse concepire per ridurre gli individui a larve umane, accompagnandoli, lentamente, verso una morte certa. La crudeltà, l'abbandono, la violenza e la disperazione umana pervadono ogni pagina del libro, si delineano scenari pari a quelli ben noti a tutti della barbarie nazista. Ancora più sconvolgente è che la ricchezza e la prosperità dell'Unione Sovietica siano state create su questi individui, sacrificio umano per la gloria della Madre Patria. Strade, ferrovie, oro, minerali, legname…
Janusz, nonostante la condanna e i patimenti, è ancora fedele alla causa Sovietica, convinto che tutto ciò sia opera di funzionari dell'NKVD (il KGB del tempo) che operano al di fuori del controllo di Stalin. Ben presto i suoi ideali crolleranno, perché in prigione incontrerà gli stessi agenti che avevano arrestato lui e la sua famiglia, a dimostrazione di come la strategia del "terrore" Staliniana non risparmiasse nessuno. Così "L'Uomo del Gulag" ci invita ad aprire gli occhi sull'ennesima realtà di tortura e pazzia che ha come protagonista il genere umano, troppo spesso colpevole di azioni normalmente attribuite a bestie selvatiche. Trenta milioni di persone hanno perso la vita nella neve della Siberia, oltre metà della popolazione dell'Italia. L'esempio perfetto di quanto "l'uomo può essere lupo all'uomo".
Recensione dal sito:
http://digilander.libero.it/puntocontro/cultura/letteratura/recensioni/uomo_gulag.htm