PACHINO - I toni di Iano Capodicasa sono fortemente critici ma non personali, le sue argomentazioni non tutte condivisibili ma lecite e vanno rispettate. La risposta del consigliere Roberto Bruno appare stizzita, come sono stizzite tutte le repliche dei politici (di qualunque colore) quelle rare volte che il loro operato viene criticato da semplici cittadini. E allora cerchiamo di riportare il dibattito entro i confini del confronto civile e dialettico sulle cose da fare e sui problemi del paese. Sono l’ultimo che può difendere l’operato di questo sindaco. Ma faremmo un cattivo servizio alla verità, quella storica e non quella politica di parte, se misconoscessimo che la crisi ha radici lontane e solo in parte ascrivibili (in proporzione agli anni) all’attuale A. C..
Ricordiamo tutti che l’amministrazione Latino si dissolve a pochi mesi dalla sua elezione; che la crisi dell’amministrazione Adamo fu coperta e oscurata dalla tragica prematura fine di Mauro; e che dire dei 54 assessori nominati dal sindaco Barone che, è vero, durò cinque anni, ma non fu mai nelle condizioni di amministrare; per non parlare della fine del governo locale di Peppe Campisi, anch’esso di brevissima durata e buttato “giù dalla torre” proprio da chi lo candidò e lo fece eleggere, oggi tocca a Paolo Bonaiuto. Il tutto ovviamente condito da scontri anche di tipo giudiziario, come mai ci è stato dato di assistere nella storia di Pachino che noi conosciamo, quella degli ultimi 50 anni per intenderci.
Dunque, a nessuno può sfuggire che, almeno gli ultimi tre lustri di vita politica locale ci consegnano un
PAESE ORMAI IN AGONIA (sarebbe meglio dire in coma profondo). Le cifre di questa agonia sono chiare ed evidenti: l’irreversibile
crisi della politica e delle istituzioni locali; la
crisi amministrativa in forza dei ricatti politico-affaristici e dalle lotte delle varie fazioni e clan;
la caduta (in quantità e qualità) dei servizi pubblici, primo fra tutti il nuovo servizio di raccolta differenziata che ancora non funziona come dovrebbe, con il risultato che il paese è sempre più sporco;
le periferie della città abbondante, le strade a dir poco dismesse, rendono
il paese invivibile. Che dire anche della
crisi economico-produttiva nel settore delle opere pubbliche frutto del mancato afflusso di risorse economiche, che negli altri comuni arrivano copiose? Perché Pachino è rimasta l’unica città della provincia a
non avere un polivalente scolastico funzionale e moderno? L’emblema di questo degrado è
piazza Vittorio Emanuele, l’antico salotto del paese; oggi cos’è? chi saprebbe darne una definizione appropriata?
Ma gli indicatori di crisi non finiscono qui. V’è una
CRISI DELLA LEGALITÀ che ha contorni spaventosi. Tempo fa scrivevamo, ma non ci fu pubblicata dai media locali, della profonda
crisi dei meccanismi regolatori delle gare di appalto di forniture e servizi, ora denunciano i consiglieri comunali di opposizione anche la
crisi dei meccanismi regolatori dei concorsi e delle selezioni per incarichi temporanei. Assistiamo a una errata (o interessata?) generalizzazione del principio dell’”
alto contenuto professionale”, che conferisce al Dirigente dell’ufficio la discrezionalità di
conferimento diretto dell’incarico senza bando ad evidenza pubblica. Così assistiamo che (ad esempio) un lavoro di semplice manualità diventa “altamente professionale” e si prescinde dal bando pubblico. O, ancora, la selezione di professionisti regolarmente iscritti ad albi professionali o registri professionali avviene con incarico diretto, senza camparazione dei curricola, scambiando un alto e specialistico contenuto professionale ordinario (in quanto in possesso di tutti gli iscritti a quell’albo), come alto contenuto professionale unico in quanto posseduto dall’amico di turno. Per cui assistiamo al conferimento di decine e decine di incarichi diretti e senza bando, conferiti sulla base dell’appartenenza politica, della spartizione tra fazioni, o peggio ancora della parentela diretta con il dirigente e con il consigliere comunale. Pratica che è inutile ripeterlo rappresenta una violazione amministrativa e fors’anche un reato penale.
Ma questi sono solo i sintomi della crisi. La causa, che di certo è generale anche se a Pachino assume contorni e caratteri di peculiarità, è altra e va ricercata nella sfera della cultura, dell’etica e della morale. Noi non possiamo far altro che riproporla all’attenzione della comunità locale.
Scrivemmo tempo addietro che
la crisi del paese è figlia di una particolare “cultura”, diremmo meglio sub-cultura, che un noto antropologo americano Edward Banfield ha battezzato con il termine “FAMILISMO AMORALE”. Un ethos tradizionale tipico delle culture arretrate (come quella pachinese), teso a massimizzare i vantaggi immediati della famiglia. Ove però il concetto di famiglia va esteso oltre l’ambito strettamente parentale, per abbracciare l’idea più vasta di appartenenza a un ben preciso e circoscritto clan politico, entro cui avvengono, per autoreferenza, tutte le spartizioni e le elargizioni: dagli incarichi professionali, alle forniture di servizi, dagli incentivi alle imprese al sostegno alle associazioni amiche, dalla rimozione dei dirigenti scomodi alla promozione del personale amico, e così di seguito. Queste sono le basi etico-morali della società politica pachinese, quale si è espressa negli ultimi tre lustri. Ed è questa cultura, che predica (il bene comune) e razzola male (l’interesse personale) che bisogna sradicare dalla mentalità locale. Tutto il resto è infingimento, ipocrisia, retorica becera e inconcludente, apparenza, voglia di protagonismo, ricerca ossessiva del successo e del potere.
Pensiamo che non ci sia politico locale che possa dimostrare, con i fatti e non a parole, di non avere rapporto di figliolanza ma anche di paternità con questa sub-cultura locale, per cui ci viene in mente un vecchio proverbio siciliano che mi sembra un ben vestito per i signori della “casta” senza distinzione di colore e geografia: il loro motto è “fai come ti dico io ma non fare come faccio io”.
Cordiali saluti
Nello Lupo